di Roberto Bernardelli – Che ci sia un Paese diviso in due è risaputo. Lo è sul reddito di cittadinanza, sulle pensioni di invalidità, sui comuni commissariati, sulla spesa in rosso per la sanità, per i forestali, per il costo delle autostrade, per il costo della vita, per gli statali… Infine, per i servizi. Lo sancisce ancor la Corte dei conti, affermando che in Italia il quadro è disomogeneo a livello territoriale in termini di impiego di risorse e qualità dei servizi da parte dei comuni. Le linee di tendenza a livello generale mostrano, infatti, evidenti differenze Nord-Sud, peggiori prestazioni di qualità della spesa nei piccoli Comuni rispetto ai Comuni di medie dimensioni, laddove nei grandi emergono costi maggiori; una differenziazione su base regionale delle tendenze di spesa (incrementi/decrementi) da ricollegare a politiche regionali che influenzano attività e decisioni dei Comuni, per quanto concerne lo specifico servizio rifiuti, una maggiore raccolta differenziata sembrerebbe essere accompagnata da benefici di carattere economico, ossia minori costi a tonnellata, ma non al Sud, che stentano a convergere verso tale circolo virtuoso.
D’altra parte l’esempio di Roma, capitale della non raccolta dei rifiuti, dice tutto.
E’ quanto emerge dalla relazione ‘Prime analisi sulla qualità della spesa dei Comuni’, approvata dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, nella quale vengono diffusi i risultati di una specifica analisi sulla gestione di alcuni rilevanti servizi comunali, quali le funzioni di amministrazione, gestione e controllo, polizia locale e rifiuti, che assorbono il 45% della spesa corrente degli enti locali, per un ammontare di circa 24 miliardi di euro.
L’analisi della Corte, alla luce della normativa più recente sulle misure di spending review che ha spostato l’attenzione dai tagli specifici su voci di spesa discrezionale alle misure di razionalizzazione volte a rendere l’attività delle Amministrazioni locali più performante, rileva, in particolare, i livelli di efficienza della spesa degli enti attraverso l’osservazione delle voci che incidono maggiormente sul versante qualitativo e degli output, per cogliere il rapporto tra i parametri di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa dispiegata.
“In questo contesto un tema sfidante è rappresentato dal controllo della razionalizzazione della spesa dei vari soggetti che saranno esecutori del Recovery plan, spesso collegati fra loro in logica di network. Come indicato dalla Commissione europea, dalla catena dei soggetti finanziatori a quelli esecutori ed ai livelli nazionale-regionale-locale, dovrebbe essere impostato un sistema unitario di controlli, un cruscotto di indicatori di performance chiave (Kpi)”.
Belle parole. Teniamo presente che il 40% almeno del recovery, che poi è un mutuo per le future generazioni, andrà al Sud. Alla stessa classe dirigente che fa disastri. Ma tanto ci si commuove davanti all’inno di Mameli e basta questo per sentirsi tutti uguali.
Onorevole Roberto Bernardelli, presidente Grande Nord