di STEFANIA PIAZZO – Fateci caso. La notizia dell’autobomba esplosa all’esterno del tribunale di Derry, nei pressi di Bishop Street, in Irlanda del Nord, sabato scorso, vi è scappata. Una breve nella cronaca sommersa dai barconi e dai naufraghi nel mediterraneo con le solite polemiche. Peccato, perché anche la politica scivola via davanti a questo sintomatico episodio che dice molto sul difficile clima generato dalla Brexit, dal sovranismo, dal populismo.
Due righe sul Sole24Ore suggeriscono un indizio: “Dopo la Brexit, il confine irlandese si trasformerebbe nell’unica frontiera di terra fra la Gran Bretagna (che include l’Irlanda del Nord) e l’Unione europea (che include l’Irlanda, entrata nell’allora Comunità Europea). Oggi il confine tra i due è invisibile, aperto alla circolazione reciproca di merci e cittadini. Il problema di come valorizzarlo non è mai emerso finché la Gran Bretagna è rimasta all’interno della Ue insieme all’Irlanda. Diventa cruciale ora, visto che Irlanda e Irlanda del Nord si troverebbe improvvisamente soggette a regole doganali diverse: la prima nel mercato unico europeo, la seconda nello spazio autonomo che si vorrebbe ritagliare Londra”.
Hai detto niente! Vecchie e nuove tensioni si riaccendono come braci mai spente. Si riapre la questione dei confini, delle frontiere con un contraccolpo stimato di 3 miliardi di euro l’anno almeno. Si parla quindi di una sorta di polizza del backstop, ovvero non ci sarebbe un confine fisico fra Irlanda e Irlanda del Nord nel caso la Gran Bretagna non riuscisse a trovare al quadra con l’Europa.
Ma al di là dei tecnicismi, la bomba nordirlandese dice molto di più sulla china violenta che porta il nuovo corso populista anti europeo. A soffiare sul fuoco c’è il mancato accordo ancora sulla Brexit, il domino caotico di mancati accordi con i singoli paesi.
E si guardi bene, proprio uno degli incagli che ha fatto scivolare la premier Teresa May, sono proprio quei confini irlandesi che separano per quasi 500 chilometri un pezzo dell’Isola fra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord, il patto per non costruire un confine fisico fra Irlanda e Irlanda del Nord, creando tensioni tra chi non vuole che Belfast sia sotto influenza di Bruxelles e dell’Irlanda e chi invece la pensa diversamente.
Da qualunque parte la si giri, la questione sovranista nel Regno Unito così come in altri paesi europei, sta generando fossati sociali, divisioni mai viste prima col risultato di indebolire il processo europeo. Azzoppato di certo dalla stoltezza della politica che l’ha guidato fino ad ora, buttando via le origini e gli obiettivi. E così, anziché costruire, si indebolisce riportando il vecchio continente ai principati e alle signorie, ciascuno a battere moneta. Gli Usa ringraziano, la Russia pure. Se l’Europa torna fragile, i vari Salvini, e con loro ungheresi, polacchi e compagnia cantante, stanno aprendo le porte della fortezza che rappresenta il 25% del Pil mondiale, 20 volte quello della Russia e più alto di quello Usa, a stagioni da era glaciale. La recessione è arrivata, i sovranismi saranno l’epitaffio.