Il populismo di destra e di sinistra fa sempre breccia nel cuore dei delusi. C’è populismo e populismo, però.
Scriveva Alain de Benoist: “Come il “comunitarismo”, il “populismo” è diventato oggi una parola per nascondere di tutto. Ne è prova il fatto che personaggi molto differenti tra loro come Nicolas Sarkosy, Marine Le Pen, Jörg Haider, Silvio Berlusconi, ma anche Mao Zedong, Mussolini… si sono visti attribuire questa etichetta”.
“La parola è dovunque, la sua definizione da nessuna parte” diceva lo storico Phlippe Roger. La politica, infatti, non sta più da nessuna parte.
Quando scatta il populismo renziano o salviniano? “L’emergenza del “populismo” è certamente anzitutto il segnale di una crisi, in occasione di una disfunzione della democrazia: discredito dell’intera classe politica, aumento dell’astensionismo, voti di pura protesta, fossato che si scava tra “l’alto e il basso”, sentimento comune di uno spodestamento dei valori democratici”.
Il populismo di destra e di sinistra ha una costante comune: presenta come possibili da raggiungere degli obiettivi che non raggiunge mai. Oggi, per di più, la caccia del voto di centro, moderato, è in crescita. Dunque, c’è il populismo rivolto agli indecisi. E’ lì che si fa man bassa. E’ lì che pesca Renzi, è lì che pesca Salvini. Sono trasversali entrambe, varcano destra e sinistra come camere comunicanti.
La democrazia rappresentativa è sparita, perché privata dalla sua rappresentanza.
Chi invece rappresenta la democrazia elettiva, anzi, dei nominati, forma gruppi dominanti, da una parte o dall’altra. Non servono più delle élites, nel senso di persone che sono in grado di essere classe dirigente, bastano dei buoni comunicatori, affiancati da web master e specialisti di social network per spacciare il populismo informatico in democrazia. Peggio, in rappresentanza. Speranze messianiche si aggirano su twitter e facebook, sui manifesti e nelle sfilate in piazza.
De Benoist parla non a torto di una “nuova classe politico-mediatica, che unisce, all’interno di una medesima situazione elitaria di potere e di apparenza, dirigenti politici, uomini d’affari e rappresentanti dei media, tutti intimamente legati gli uni agli altri, tutti convinti della pericolosità delle aspirazioni popolari”. Quindi il populismo le controlla e le dirige. Una volta si era capitalisti o anticapitalisti, iperliberisti o statalisti. Oggi si è renzisti o salvisti, categorie ideologiche che oscillano dagli 80 euro in busta paga allo stop agli immigrati. E nessuna delle due ozpioni è risolutiva. Entrambe prospettano l’impossibile: arrivare a fine mese, bloccare per magia gli sbarchi e il costo sociale del welfare tutto sbilanciato oramai verso gli stranieri. I sindaci della Lega lo sanno ma nessuno ha mai osato stilare una sorta di “busta paga dell’immigrato”, al netto degli assegni sociali, dei bonus affitto e bebè.
Così pure il Pd non osa dire che cosa pensi della nuova classe operaia e della disoccupazione che erode il loro storico bacino elettorale. Oramai si è alla conta algebrica: per ogni 2000 sbarchi, la cronaca regala 2000 licenziamenti al giorno.
Non esiste più quindi l’operaio ma neanche il ceto medio. Esiste lo straniero e il nominato. Nel mezzo ci stanno miriadi di professionisti, artigiani, in progressiva infartuazione del lavoro. L’ictus sociale. Ex lavoratori, ex pensionati, perché le pensioni stanno sparendo. Più che di indecisi, occorrerebbe formulare la categoria dei sopravvissuti.
C’è populismo e populismo, si diceva. Quello contemporaneo, che fa politica senza popolo, e quello storico, infatti, che nacque in Russia e negli Usa, per svegliare le coscienze e ribellarsi alle lobbies. Per un ritorno alla democrazia e alla giustizia sociale, agraria.
Ma che accade se il popolo per davvero volesse interessarsi di politica? Lo aveva espresso acutamente l’amico Giuseppe Reguzzoni, tempo fa sulla sua pagina facebook. Ecco cosa scriveva magistralmente, richiamando Thomas Mann:
“Considerazioni di un impolitico. Oggi non abbiamo bisogno di una forza politica moderata: c’è già ed è l’attuale classe politica, tesa solo a mantenere tutto cosí com’è. Il patto del Nazareno è vivo, e ingloba anche le cosiddette opposizioni, che sono come le vuole chi comanda: uno sfogo per la pancia della gente. Oggi non abbiamo bisogno di una forza liberal- borghese, centrata sul sistema di potere romano, ma di una minoranza rivoluzionaria e consapevole. Quel che oggi si chiama democrazia, non è che oligarchia mascherata e marketing elettorale alla ricerca di posti. Ogni compromesso è accettazione del sistema. Per questo oggi, se liberi e forti, siamo tremendamente soli e non vediamo alcuna luce in fondo al tunnel“.
Passerà anche questa nottata.