«Il minicondono edilizio ipotizzato nella bozza del decreto legge sblocca cantieri conferma come in Italia esista un filo rosso che unisce tutte le amministrazioni che si succedono alla guida del Paese, a prescindere dall’orientamento politico: con cadenza più o meno regolare lo Stato, attraverso i provvedimenti del Governo e le azioni del Parlamento, alza le mani e dichiara la propria resa di fronte agli abusi e alle violazioni delle norme. In passato, almeno, le tre leggi sul condono del 1985, 1994 e 2003 erano state varate anche con la finalità di fare cassa. Stavolta, al contrario, si tratterebbe di un colpo di spugna a incasso zero: oltre il danno, pure la beffa».
Lo dichiara l’ing. Sandro Simoncini, urbanista e direttore scientifico del Centro Studi Sogeea.
«Una sanatoria decisamente in contrasto con le finalità del decreto sblocca cantieri, visto che la cancellazione degli abusi avverrebbe in automatico, senza che il cittadino debba istruire una pratica o che il Comune vada a verificare lo stato delle cose, magari attraverso un appalto a società o tecnici del territorio. Dunque, nessun beneficio per l’indotto del comparto edilizio, cosa nettamente contraria allo spirito originario del provvedimento del Governo. Non solo. Chi ancora non ha visto istruita la propria pratica di condono potrebbe ritirare la richiesta e optare per la sanatoria a costo zero, determinando un ulteriore mancato introito per le casse pubbliche.
Va poi sottolineato come il comma b del minicondono, almeno per come è scritto, possa ingenerare confusione e allargare a dismisura la platea dei potenziali beneficiari del provvedimento. Infatti si parla testualmente di “irregolarità geometriche e dimensionali di modesta entità”, ma subito dopo le si quantifica in “eccedenti il 2%”: o gli estensori della legge si sono persi per strada un “non” oppure hanno voluto lasciare aperta la porta ad abusi di ben maggiore portata».