di PIERLUIGI CROLA* – Vorrei esprimere alcune osservazioni di vita (scolastica), frutto di un insegnamento più che trentennale, di cui più di un quarto di secolo (28 per l’esattezza) passato (piacevolmente) nelle patrie galere.
Il problema della scuola come il problema della valutazione (anche dei docenti) è un problema abbastanza complesso: non abbiamo a che fare, infatti, con un prodotto, per cui è semplice distinguere se il lavoro è stato effettuato in maniera perfetta o meno, ma con del “materiale” umano, per cui, a causa della sua complessità e di un gran numero di variabili è più difficile esprimere un giudizio netto in base ai risultati tout court. Posso essere infatti un educatore per eccellenza ed avere a che fare con una classe di persone estremamente limitate, oppure essere un fannullone ed avere a che fare con un classe di genietti, e capiamo subito che il solo risultato non basta per evidenziare le qualità o le lacune di un docente.
Al di là di queste premesse, vorrei toccare una serie di punti che costituiscono una serie di scontri “ideologici” che non hanno più ragion d’essere nella scuola di oggi.
- Scuola pubblica o scuola privata: una lotta senza quartiere per l’affermazione di una scuola pubblica a danno di una scuola privata è una battaglia di retroguardia, sia perchè ci sono scuole pubbliche valide come scuole private non sempre all’altezza, il buono e il cattivo esiste in entrambi i campi. Se è vero infatti che le scuole pubbliche, tralasciando un certo orientamento politico quasi uniforme, sono spesso vessate da mancanza di fondi e un carosello incredibile di insegnanti nel giro di un anno scolastico (quando ero ancora giovane e supplente ho visto in un anno una scuola media cambiare 12 insegnanti di matematica e una 5^ superiore assumere l’insegnante definitivo di letteratura inglese il 12 di giugno, quando l’anno scolastico terminava il giorno seguente), è anche vero che ci sono scuole private che, pagando una lauta retta, assicurano quasi automaticamente la promozione. Come è anche vero che, sia nel pubblico che nel privato, abbiamo delle vere eccellenze: il Volta e la Manzoni, da un lato, i Salesiani (con i quali mi sono diplomato più di 40 anni fa) dall’altro. Fatto salvo la pluralità dell’educazione, il punto è allora un altro: non dobbiamo difendere a priori un tipo di scuola o un altro, ma una buona scuola (l’aggettivo renziano è solo casuale), dove non ci sia discriminazione né di impostazione educativo-culturale, né di censo
- Valore legale del titolo di studio: penso sia da abolire per una serie di motivazioni, ma soprattutto perché è scollegato completamente col mondo del lavoro. Posso prendere il massimo dei voti alla maturità o all’università, ma quando entro in un’officina, un ufficio o in una classe il titolo di studio si rivela, nella maggior parte dei casi, inadeguato perché non è propedeutico al lavoro che uno andrà a svolgere. Il mondo dello studio e quello del lavoro spesso sono come due coniugi separati in casa, estranei uno all’altro. In questo senso, anche la battaglia ideologica che si sta facendo in questi giorni contro l’alternanza scuola-lavoro è un preoccupante sintomo di arretratezza culturale. Se uno deve fare il meccanico o il panettiere devo solo fargli studiare come è fatto un motore o come è composto il pane senza un minimo di esperienza sul campo?
- Graduatorie regionali: spesso assistiamo ad un proliferare di voti alti nelle regioni più arretrate scolasticamente e viceversa; nessuno vuol fare un processo alle persone di origine meridionale, anche perché il sottoscritto da anni lavora fianco a fianco con calabresi, pugliesi, siciliani e campani estremamente preparati e professionali. È esclusivamente un problema di territorio: si ha l’impressione, ed uso un eufemismo, che si “alzino i voti in alcune regioni”, perché, inserendosi poi, i futuri docenti in graduatorie nazionali, possano risultare più avanzati nel punteggio e quindi ottenere quel posto che nelle loro terre d’origine è precluso, causa la forte disoccupazione. È successo qualche anno fa che il 95 % dei candidati ha superato l’esame per procuratore a Reggio Calabria, mentre a Milano lo ha superato sol il 30%. Per ovviare a questo problema, se non vogliamo limitare la possibilità di insegnare ai residenti di una regione, ci vogliono criteri e valutazioni super partes, che impediscano la possibilità di ogni minimo favoritismo. Oppure, sarebbe più logico istituire graduatorie regionali, aperte solo ai residenti da almeno 20 anni, senza distinzione di origine.
- Il problema del numero chiuso: altro problema annoso e complesso è il problema del numero chiuso nelle università, troppo spesso visto come un provvedimento di destra. Vorrei porvi il problema con una domanda: se è sbagliato fare come nella Russia o nei paesi comunisti dove vige o vigeva una ferrea pianificazione, quale sistema alternativo posso creare perché gli atenei non “sfornino” dei disoccupati ? In altre parole, se mi servono nei prossimi 5 anni, 200.000 docenti e, non essendoci numero chiuso, nei vari atenei ne usciranno 1.000.000, non avremo forse a che fare con un 80% di potenziali disoccupati? Ed ammesso che una parte opti per il mestiere di giornalista, critico d’arte o si impegni in campo culturale, non ne resterebbe sempre una grossa parte disoccupata (avendo “sprecato” per di più 4/5 anni inutili di tempo e denaro) ?
- Il problema del merito: è questo un problema che riguarda un po’ tutte le categorie (lavoratori, studenti, e per un altro verso, docenti). Dico per un altro verso, docenti, perché come avevo già accennato nelle premesse, per questa categoria vale un discorso a parte essendo più difficile valutare il merito, anche se non impossibile. Se è difficile infatti valutare la qualità dell’insegnamento, è più facile stabilire la quantità (a quanti corsi di aggiornamento o commissioni si partecipa, quante ore vengono fatte “gratuitamente” per esigenze didattiche, essendo praticamente impossibile effettuare straordinari, quante pubbliche relazioni si effettuano con la società civile per il miglioramento della scuola e del suo funzionamento ). Per lavoratori in genere e studenti il discorso è relativamente più semplice: basta vedere il rendimento e premiare il risultato di conseguenza. Attenzione risultato non vuol dire voto: se ho a che fare con un alunno potenzialmente da 10 che mi rende per 7 e uno portatore di handicap potenzialmente da 5 che mi rende per 6, è inutile dire che premierò il secondo.
- Scuola veramente paritaria: una scuola veramente democratica e pluralista è quella in cui tutti abbiano le stesse possibilità, al di là del tipo di scuola (pubblica o privata): in una società dove il figlio del notaio molto probabilmente farà il notaio e il figlio dell’operaio farà l’operaio, sarebbe opportuno spezzare questa maledizione. Ognuno, al di là del censo e della provenienza, dovrebbe poter seguire le proprie attitudini. Mi viene in mente un esempio significativo a questo proposito: quando frequentavo i salesiani, non mi ricordo più se alle medie o al liceo classico, non era ammesso che un alunno non potesse fare la settimana bianca per un motivo meramente economico. Il problema venne risolto brillantemente: ognuno metteva in una busta quello che poteva e se la cifra non era sufficiente ci pensava l’istituto a metterci il rimanente. E se ciò veniva fatto per una settimana di vacanza sulla neve, anche se con finalità di socializzazione, figuriamoci l’attenzione per aspetti più importanti, come quelli più prettamente educativi e didattici.
- Scuola del territorio: non si intenda ovviamente questa espressione in senso limitativo, ma nel senso letterale del termine. Perché, in Lombardia, ad esempio, devo studiare la storia degli invasori romani (per noi barbari, nel senso greco del termine, cioè stranieri) e tralasciare l’altrettanto importante civiltà celtica che ha fondato, tra le altre, la città di Milano, il cui nome deriva erroneamente da un’etimologia latina, bensì celtica? Perché nella letteratura italiana devo essere costretto ad imparare autori, a volte anche minori, mentre gli alunni rimangono all’oscuro di geni letterari del calibro di Porta, Maggi e Tessa, considerato da tutti il più grande poeta espressionista italiano, nonostante avesse scritto solo in milanese, per citare solo alcuni? Ed ancora: perchè anche in altri campi la nostra gente deve rimanere all’oscuro di personalità di spicco come il matematico Gerolamo Cardano, fondatore principale della probabilità, coefficiente binomiale e teorema binomiale, a cui si deve anche la parziale invenzione della serratura, della sospensione cardanica – che permette il moto libero, ad esempio, delle bussole nautiche ed è alla base del funzionamento del giroscopio – e della riscoperta del giunto cardanico? Per non parlare di altri intellettuali di spicco nel campo della musica, del teatro e dell’arte? È vero, infatti, che da alcuni anni è in vigore un ordinamento che prevede il 20% dei programmi dedicati all’autonomia, che rimane però lettera morti sia perché molti insegnanti vengono catapultati dal sud, sia perché i restanti non hanno le conoscenze e gli strumenti adeguati.
- Formazione degli insegnanti: per ovviare a questo problema, oltre alle graduatorie aperte solo ai residenti, è necessario prevedere seri corsi di formazione per insegnanti in relazione alla cultura locale, lingua compresa, attivate da istituzioni ed associazioni del territorio in grado di fornire una seria formazione culturale.
- Lotta ad un atteggiamento di chiusura della dimensione locale: dal momento che la scuola, però è purtroppo in gran parte ostaggio di una ideologia della peggiore sinistra, eredità di quel sciagurato ’68, una gran parte di insegnanti ed anche molti presidi, in prevalenza di origine non certamente padana, si dovrà far pressione perché a livello regionale, qualora le competenze dei programmi siano passati alla regione, cosa che io auspico, ma che vedo come una grande utopia, o, come extrema ratio, a livello statale, perché si emani una circolare dove questo concetto venga reso OBBLIGATORIO PER LEGGE.
- La mia scuola ideale: io sogno una scuola ideale all’insegna del merito, indipendentemente dalla tipologia (pubblica o privata). Vi sarebbe una selezione naturale che renderebbe inutile ogni graduatoria meritocratica nei confronti degli insegnati. Una scuola nella quale, a parità di condizioni economiche e strutture, emergerebbero le migliori. Risultato: tutti i genitori andrebbero ad iscriversi nelle scuole “migliori”, scartando quelle più scarse: ci sarebbe la selezione naturale che premierebbe il vero merito.
A questo riguardo, vorrei concludere con un’affermazione della relatrice di un corso di formazione , che mi ha stupito positivamente: persona culturalmente orientata verso l’estrema sinistra, affermava che non bisogna dare un piatto di minestra per tutti nella scuola, ma deve emergere il merito, che i sindacati, CGIL in testa, hanno sempre affossato. Un’organizzazione non può funzionare senza quadri intermedi, con un capo e con dei lavoratori tutti allo stesso livello. Chapeau!
*Docente di lingua inglese presso la casa di reclusione di Opera