di GILBERTO ONETO – Una mattina Formigoni si svegliò – i motivi sono noti e forse anche poco nobili ma le vie della provvidenza sono davvero infinite – e propose una sorta di aggregazione fra le Regioni padane per difendere i propri interessi (delle Regioni ma anche quelli del suo gruppo politico). Lo ha fatto in forma molto nebulosa e poi ha anche un po’ lasciato cadere la cosa (o gli è stato imposto di farlo). Non è la sola debolezza della vicenda: dei due presidenti leghisti solo uno ha mostrato un attivo interesse (e con lui quello del Friuli), i presidenti di sinistra hanno fatto finta di niente. Gran parte del sistema di informazione è stato zitto ma anche la dirigenza leghista (forse spiazzata dalla mossa) è stata piuttosto lenta nel sintonizzarsi sul problema.
Eppure l’idea è buona, non è nuova ma assume particolare interesse a causa della situazione economica: oggi l’esigenza di autonomia (e – diciamocelo – di indipendenza) è soprattutto economica: lo Stato ladro riesce a prevalere in oppressione addirittura sullo Stato terrone. Si prende atto che le cose non possono più procedere sul cammino unitarista della solidarietà nazionale a senso unico e si trova un rimedio: è un po’ tardi perché la terapia possa essere dolce e si deve mettere in conto che la medicina potrebbe fare del male a qualcuno. Ma non ci sono più alternative: lo Stato italiano unitario e centralista è arrivato al capolinea. La strada più logica e ragionevole che può essere percorsa è quella delle aggregazioni macroregionali su cui ricostruire una struttura davvero federale o su cui terminare l’esperienza unitaria.
Sono da tempo verificate le condizioni che la comunità internazionale mette alla base e statuisce come imprescindibili per ogni legittimo processo di ridefinizione istituzionale, di profonda revisione dei rapporti fra le comunità e per lo scioglimento di legami riconosciuti: la deprivazione economica e la deprivazione culturale. Le regioni padano-alpine costituiscono sicuramente la comunità più tartassata e derubata delle sue risorse del mondo intero: non esiste nella storia dell’umanità un altro caso di più evidente e sostanzioso trasferimento di ricchezze. Non basta: anche in termini di oppressione culturale e di annichilimento identitario, la Padania ha una posizione di indesiderato privilegio. Oggi si enuncia la volontà di rivedere i rapporti fra le regioni padano-alpine e il resto della Repubblica italiana mediante lo strumento della creazione di aggregazioni macroregionali che ridiscutano in diversa posizione di forza i propri rapporti con lo Stato centrale.
Il riferimento più completo si trova sicuramente nel cosiddetto Decalogo di Assago, redatto dal professor Gianfranco Miglio e presentato il 12 dicembre 1993 al secondo Congresso della Lega e approvato dall’Assemblea. Il Decalogo delinea la condizione finale di un percorso di riforme che non è però mai stato delineato nelle sue tappe: a Miglio non ne è stato dato né il tempo né la possibilità e la Lega si è da allora occupata d’altro.
Gli strumenti giuridici per intraprendere il percorso sono stati forniti dalla Sinistra che nel 2001 ha modificato il Titolo V della Costituzione introducendo elementi di federalismo e soprattutto aprendo uno spiraglio per ulteriori modifiche. La legge era stata definitivamente approvata, dopo il lungo iter previsto per le leggi di modifica costituzionale, il giorno 8 marzo del 2001 dal Senato con una risicata maggioranza: avevano votato contro sia la Destra sia la Lega, allora in piena deriva italianista. Mancando in Parlamento la maggioranza qualificata dei due terzi, la legge era stata sottoposta a Referendum popolare confermativo e il giorno 7 ottobre 2001 il 64% dei votanti l’aveva approvata con il voto favorevole – si immagina – anche di molti elettori leghisti.
Per il percorso che qui interessa sono particolarmente interessanti gli articoli 117 (che si occupa di legislazione esclusiva e concorrente e che concede alle Regioni la possibilità di intese fra di loro per l’individuazione di organismi comuni e anche la possibilità di accordi con l’estero), 119 (che descrive l’autonomia finanziaria) e il 132 (che disciplina la fusione di Regioni, la creazione di nuove Regioni e lo spostamento dei confini).
Il progetto trova appoggio giuridico anche nella giurisprudenza internazionale dove questa si occupa di diritto di autodeterminazione. In particolare si fa riferimento alla Carta delle Nazioni Unite, che al Capitolo I, articolo 1, paragrafo 2, individua come finalità dell’organizzazione: “Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-determinazione dei popoli…”. Esistono poi il “Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali”, e il “Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici”, adottati rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966 e ratificati dal Parlamento italiano con legge n. 881 del 25 ottobre 1977.
La “Dichiarazione relativa alle relazioni amichevoli ed alla cooperazione fra stati” del 1970 sancisce il divieto di ricorrere a qualsiasi misura coercitiva suscettibile di privare i popoli del loro diritto all’autodeterminazione.
La “Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa” (CSCE) nell’Atto Finale di Helsinki del 1975, afferma il diritto per tutti i popoli di stabilire in piena libertà, quando e come lo desiderano, il loro regime politico senza ingerenza esterna e di perseguire come preferiscono il loro sviluppo economico, sociale e culturale.
A questi vanno aggiunti mille altri documenti di altre organizzazioni (fra cui la Chiesa Cattolica) e le enunciazioni della dottrina politica (“l’autodeterminazione è diritto pre-politico, naturale, inalienabile e indisponibile”) che Gianfranco Miglio riassumeva nel “diritto di stare con chi si vuole e con chi ci vuole”:
Sull’onda dell’uscita formigoniana e delle successive prese di posizione leghiste, il dibattito sulla Macroregione sembra essersi avviato sulla questione delle riforme a “Costituzione invariata” o attraverso modifiche costituzionali che richiedono tempi lunghi e una maggioranza qualificata che in un Parlamento dominato da partiti meridionalisti è oggi impossibile trovare.
Senza nulla togliere alla vitalità di tale dibattito, serve cominciare a ragionare sul percorso che è possibile intraprendere nelle condizioni esistenti per perseguire il progetto macroregionale.
Il percorso va organizzato su tre successioni di azioni che devono procedere in parallelo, come in una sorta di tridente. La linea centrale è data dai passi successivi per costituire anche fisicamente la Macroregione, le altre due procedono di concerto per garantire una copertura culturale e di consenso al progetto.
La linea centrale si può sviluppare su una serie di passaggi successivi.
Il primo passaggio riguarda il confronto e il coordinamento fra le Regioni interessate, che devono manifestare la volontà di procedere di concerto e di affrontare tutte le azioni e le decisioni che le portano ai passi successivi. Il coordinamento riguarda necessariamente le materie di competenza regionale esclusiva e concorrente.
Il secondo passaggio sta nella formazione di una legislazione comune nelle stesse materie. La redazione e l’approvazione di una legge urbanistica comune sarebbe – ad esempio – un grande passo avanti e uno straordinario segnale di cambiamento. Ma lo stesso vale per innumerevoli altri temi: questo costringe le strutture delle varie Regioni a collaborare e a trovare ritmi di lavoro comuni e un alto grado di intesa.
Il terzo passaggio prevede la creazione di organismi comuni. Dovendo lavorare insieme e con normative comuni, molti settori operativi e amministrativi delle Regioni si possono intercollegare in strutture integrate a livello macroregionale, come agenzie per il turismo, i trasporti, l’ambiente e i rapporti con Stati e realtà esteri.
Il quarto passaggio consiste nella convocazione di un Parlamento comune, ovvero della convocazione in seduta comune delle Assemblee regionali, per deliberare la formazione della Macroregione e darsi istituzioni rappresentative permanenti. Costituisce di fatto la proclamazione della Macroregione padana. È chiaro che tale Super-assemblea non ha poteri legislativi riconosciuti ma potrebbe comunque delibare qualche mozione di intenti, esprimere qualche auspicio di nessuna valenza giuridica ma di enorme impatto simbolico, emotivo e anche politico.
Il quinto passaggio si occupa della revisione dei confini interni ed esterni (ma italiani) della Macroregione. La legge consente di ridefinire i confini che non corrispondono con le identità territoriali vere. Così le otto Regioni esistenti potranno rivedere i loro confini e si potranno creare entità diverse, come la Romagna, la Ladinia o l’Insubria. Naturalmente anche i confini meridionali vanno rivisti consentendo alle comunità padane oggi inglobate in Toscana, Marche e Sardegna di poter decidere liberamente se aggregarsi alla Macroregione.
In nessun caso si deve procedere verso la fusione in una sola Regione che è il contrario dello spirito autonomista e federalista che sottende all’intero processo. Non si deve fare un’Italia più piccola ma una Svizzera più grande.
Il sesto passaggio consiste nell’indizione di referendum consultivi sull’autonomia macroregionale. I cittadini residenti nella Macroregione vanno chiamati a esprimere liberamente le loro intenzioni sul destino del progetto politico e sul grado di autonomia che intendono raggiungere mediante ulteriori confronti con lo Stato italiano, anche con modifiche costituzionali.
Il settimo livello riguarda il coerente trasferimento delle autonomie in campo economico e fiscale, con la trasformazione della Macroregione (o anche solo delle Regioni che ne fanno parte) in sostituto di imposta e con la ridefinizione della ripartizione delle ricchezze e del debito pubblico. Il riferimento più sicuro e collaudato (e accettato dalla Costituzione italiana) è lo Statuto di autonomia della Provincia di Bolzano.
Come detto, in parallelo, in una sorta di tridente, si deve procedere con altre due linee di attenzione e di operatività.
La prima riguarda le iniziative identitarie che servono a sostenere sul piano culturale e delle immagini comunitarie tutto il cammino dell’autonomia. Queste riguardano l’istruzione, le lingue locali, la gestione dei beni culturali e tutto quello che contribuisce a formare il repertorio di riconoscimento di una comunità di comunità libere.
La seconda si occupa della sistematica analisi di tutti i dati socio-economici regionalizzati per tenere sotto stretto controllo i rapporti economici con lo Stato italiano e per darne continuo e puntuale conto ai cittadini. Sulla base di quanto previsto dal Regolamento comunitario europeo 223 del 1995, ogni Stato membro è obbligato a elaborare statistiche regionali e di fornire i parametri regionalizzati di tutte le voci che concorrono alla formazione del bilancio dello Stato. La Repubblica italiana è su questo punto completamente inadempiente: la Macroregione dovrà invece pretendere la diffusione di tali dati aggiornati o provvedere essa stessa alla loro redazione.
Così, il percorso di creazione della Macroregione sarà seguito e legittimato passo dopo passo da strumenti che documentano la deprivazione culturale e quella economica e il progressivo smantellamento dello stato di oppressione. Fiancheggiata da queste due attività di conoscenza e di organizzazione di consenso, la punta centrale deve procedere inesorabile. Naturalmente si tratta di una prima bozza di progetto che deve essere integrata e migliorata dall’apporto di tutte le forze politiche, culturali ed economiche interessate alla creazione della Macroregione. La Padania può essere fatta solo con il concorso di tutti. Fino a qui si sono mostrati disponibili a un confronto i presidenti della Lombardia, del Friuli e del Veneto. Anche il presidente del Piemonte e il vice-presidente della Lombardia sostengono di essere leghisti: se la cosa fosse verificata anche nei comportamenti potrebbe essere di grande vantaggio.
Quello che a “Costituzione invariata” si può fare è poco rispetto alle aspettative degli indipendentisti e alle necessità di tutti i cittadini padani ma è pur sempre una sensibile crepa nel muraglione del centralismo italiano. In tutti questi anni il solo vero e concreto passo verso l’autonomia è stato possibile grazie alla Sinistra e alla modifica del Titolo V (di cui forse la Sinistra si è anche pentita): è ora che anche chi si dice liberista e autonomista faccia qualcosa!
La libertà è come una droga. Una piccola autonomia è come una droga leggera che porta alla dipendenza e alla voglia di provare droghe sempre più pesanti, come il federalismo e l’indipendenza. Gli autonomisti devono essere come dei pusher di droga buona: devono puntare a generalizzate overdosi di libertà. Si cominci con lo spinello della Macroregione!