di ROBERTO BERNARDELLI E STEFANIA PIAZZO – Una e trina. Miglio l’aveva vista così, l’Italia. Tre macroregioni. E quella del Nord a cosa somiglia per essere più chiari? Forse alla Baviera? Sette anni fa la questione bavarese, un po’ come la questione settentrionale, era sul tappeto della Merkel. La Baviera gode di molta autonomia. Fateci caso. Sul proprio cartello quando si varca il confine si legge Freistaat Bayern, libero stato di Baviera.
Anni fa la Bayernpartei aveva lanciato la sfida Bayern kann es auch allein, «La Baviera può farcela da sola», in cui il tema dell’indipendenza e della secessione sono trattati con toni che suonano di sfida aperta al sistema federale e al socialismo di stato della Merkel. Diventò persino un best seller il libro pubblicato dal giornalista Wilfried Schnargl: Bayern kann es auch allein, «La Baviera può farcela da sola», appunto. Una sfida al socialismo della Merkel e alla centralità di Bruxelles.
Se al Nord si ricorda il lombardoveneto come momento di coesione sociale, culturale ed economica poi diventato forzatamente parte dello stato unitario, altrettanto, forzando la mano si può dire del Regno della Baviera che entrò nell’Impero Tedesco nel 1871, in seguito alla sua annessione manu militari, pagando a caro prezzo la perdita della propria indipendenza.
“Alla colonizzazione economica e militare prussiana fece seguito una tremenda ondata emigratoria verso le Americhe. Il Kulturkampf, la «battaglia per la cultura» di Bismarck considerò una sola cosa l’identità bavarese e la storia cattolica di quella terra, con sviluppi storici che si conclusero con la spaventosa tragedia del nazionalsocialismo (ovviamente poco incline alle autonomie e al rispetto delle identità culturali) e della seconda guerra mondiale. La nuova costituzione, finalmente federale, riconobbe le specificità bavaresi, ma, oggi, questo Land, divenuto il più ricco della Germania grazie alla sua laboriosità e alla propensione al risparmio dei suoi abitanti, vede di nuovo minacciata la propria esistenza. I nemici, ora, sono Berlino e Bruxelles. Scharnagl parla apertamente di «manovra a tenaglia»: da una parte Berlino, che cerca costantemente di drenare risorse dalla ricca Baviera, dall’altra Bruxelles, alleata con la grande finanza, che con l’ESM (il fondo di stabilità o fonda salva stati, ndr) gioca alla collettivizzazione eurocratica forzata. In gioco è, ancora una volta, l’Europa delle regioni e dei popoli contro l’Europa degli stati e del superstato”, scriveva Giuseppe Reguzzoni in un editoriale (concordato con l’allora direttore Piazzo su la Padania nel settembre 2012, ndr).
Guardate se vi riconoscete almeno un po’…. “La Baviera non è solo un Land dai caratteri fortemente identitari, è anche quello che ospita gioielli dell’industria tedesca come Adidas, Allianz, BMW, Infineon, MAN o Siemens e che ha un PIL in grado di collocarla, in termini assoluti, al 15.mo posto della graduatoria mondiale. A irritare gli animi ci sono anche i continui aumenti della quota di prelievo tributario imposta da Berlino a sostegno «solidale» del «resto della Germania», pur all’interno di un sistema fiscale che resta, in ogni caso, federale”.
Le posizioni di Scharnagl e di Peter Gauweiler che, non dimentichiamolo, fu uno dei principali attori dell’ormai celebre ricorso alla Corte Costituzionale Federale di Karlsruhe contro l’ESM, erano vicine. ” La tesi di ambedue, l’anziano amico di Strauss e il combattivo economista targato CSU, è che, piaccia o meno, l’attuale Unione Europea, per quanto centralistica, sta aprendo, di fatto, nuove prospettive alle realtà regionali o macroregionali, e che con queste si dovranno fare i conti”.
È un sogno, come scriveva la FAZ, «in cui la Baviera tornerà a costruire castelli che stupiscono il mondo, con i miliardi che non dovrà più elargire a Berlino e Bruxelles a causa dei meccanismi di compensazione solidale». E pensare che la Baviera, a costituzione vigente, trattiene già sul proprio territorio buona parte delle imposte.