di MARIO DI MAIO – Non so se Salvini abbia un piano B e gli auguro di sì. Fino adesso gli è andata di lusso anche nelle regioni del Sud perché in campagna elettorale è riuscito a porsi come unica alternativa al “buon senso” berlusconiano che ormai convince a stento solo Confalonieri e Galliani) e alla disintegrazione rumorosamente litigiosa dell’agglomerato di centrosinistra.
Inoltre i grillini, a dispetto di ogni previsione e nonostante le gaffes di Toninelli, sembrano in grado di “contenere” gli attacchi dei “giornaloni” delle TV, e dei vecchi Volponi della politica nazionale, oggi decimati, ma rigorosamente schierati in blocco contro “ogni populismo”.
Intanto è arrivato però il momento di occuparsi della maggiore autonomia delle tre Regioni del Nord che avevano già ottenuto l’ok da Gentiloni: si tratta di una delle riforme qualificanti del programma perché la maggioranza degli elettori di tutto il Settentrione è in varia misura autonomista, e una mancata approvazione comprometterebbe il consenso dei vecchi e nuovi leghisti. Ma i pentastellati, da bravi meridionalisti, sono contrari al federalismo fiscale e ai costi standard, senza i quali l’operazione sarebbe economicamente improponibile.
Altrimenti serve dunque un piano B che consenta alla Lega di ritirarsi dignitosamente in Padania nel caso non improbabile di rottura anticipata con i grillini, e di ricominciare a dedicarsi specificamente agli interessi e alla libertà del Nord.
Un ritorno ” di governo” a Roma possibile, ma tassativamente alle proprie condizioni. I defatiganti “tira e molla” sono costosi in termini di tempo e di quattrini e in Italia richiedono compromessi troppo spesso inaccettabili.