di OPENPOLIS – Dopo la crisi le maggiori città italiane hanno sacrificato le uscite a favore di attività artistiche e culturali, a eccezione di Firenze, Trieste e delle città del sud. Palermo è quella che ha aumentato di più questo tipo di spese. Ma nonostante i progressi, lo squilibrio nord-sud resta ampio.
L’Italia è un paese ricco di patrimonio culturale, diffuso tra privato e pubblico. E al settore pubblico spetta la prerogativa di valorizzare i beni e promuovere la politica culturale. Attività che non sono svolte solo dallo stato. Anche i comuni contribuiscono a rendere accessibile la cultura e a diffonderla: mantenendo biblioteche, musei e teatri di loro proprietà, oppure organizzando eventi e manifestazioni.
Questo ruolo pubblico negli anni è stato più volte messo in discussione, in particolare a seguito della crisi economica. Celebre la dichiarazione dell’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti:
«Per alleviare le umane sofferenze dell’amico Sandro [ndr Bondi, all’epoca ministro della cultura] vorrei rammentargli che in tutta Europa, anche a Parigi e Berlino, stanno tagliando i fondi alla cultura. È molto triste, una cosa terribile, lo capisco. Ma vorrei informare Bondi che c’è la crisi, non so se gliel’hanno detto: non è che la gente la cultura se la mangia»
Attraverso openbilanci.it si può constatare che – anche a livello locale – quella presa di posizione non è rimasta solo sulla carta. Tanti comuni italiani, forse in molti casi stretti tra la necessità di far fronte ai tagli e quella di tutelare le esigenze sociali emerse con la crisi, hanno sacrificato le spese per la cultura. La tendenza generale osservabile nelle maggiori città italiane lo conferma.