di Stefania Piazzo – Montefalco i leghisti salviniani non sanno neppure cosa sia. Né conoscono il suo Sagrantino, uno dei migliori vini al mondo. Eppure un suo ex sindaco, sconosciuto al mondo dei vivi ha asfaltato col 60% la cupola di potere che in 50 anni ha trasformato l’Umbria in una discarica di rifiuti tossici politici, una sinistra arraffona, un sindacato che ha fatto da esecutore testamentario alla chiusura di aziende come la Merloni, uno degli scandali industriali più grandi d’Italia che fa il paio con la notorietà di Montefalco. Il silenzio più assoluto.
E poi mettiamoci pure Terni. Così lontana, chi ne sa qualcosa di più qui al Nord?
Umbria, 700 mila abitanti colonia di un sistema lontano dagli occhi lontano dal cuore, una regione trattata come il tappetino sotto al quale si nasconde la polvere, cui non è parso vero trovare sulla strada per Assisi il sovranismo che parla ai poveri, che promette ai derelitti una nuova patria.
Ecco, il tappo è saltato.
Risolverà ora Salvini questioni come un aeroporto aperto su prenotazione? O la comunicazione via Verghereto che ti porta a Perugia solo se hai una ruota di scorta in più? O un treno che da Milano al capoluogo non ti faccia viaggiare sei ore per arrivare a Perugia? Il mondo si ferma a Firenze, poi hai solo un regionale che piscia in tutte le fermate, magari con un ulteriore cambio a Teronotola-Cortona, graziosa appendice Toscana dove in stazione una lapide ti ricorda che da lì Gino Bartali partiva per le sue staffette partigiane. Bartali ci metteva meno, il regionale impiega due ore per portarti a Perugia.
Certo, costeggi il Trasimeno, ma non arrivi mai.
L’Umbria ha messo da parte Assisi e ha punito gli impuniti, impunibili sempre, né più né meno come il resto della classe politica.
Salvini si è trovato al posto giusto al momento giusto. Per cambiare l’Umbria serve un miracolo, per ora gli umbri hanno provato a cambiar santo.