Nelle intenzioni di voto il M5s e’ al primo posto con il 31.5%, segue il Pd con il 29.8, terzo posto per il centrodestra (se unito) con il 28.6: e’ quanto emerge dal sondaggio Ipsos Pa per il Corriere della sera, pubblicato ieri dal quotidiano. Nelle intenzioni di voto gli astensionisti si confermano “primo partito” con il 35.9% degli elettori. Nando Pagnoncelli, che ha condotto il sondaggio, sottolinea come il referendum non abbia sostanzialmente sostato gli equilibri e che “lo scenario politico non vede emergere una maggioranza univoca ma tre minoranze”. Metodologia seguita per il sondaggio: Campione casuale nazionale rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne secondo genere, eta’, livello di scolarita’, area geografica di residenza, dimensione del comune di residenza. Sono state realizzare 998 interviste (su 9321 contatti) mediante sistema Cati il 7 e 8 dicembre 2016).
Ma non solo…
“Il 40,05% di Sì al referendum non sono voti di Matteo Renzi e nemmeno del Pd. Quindi non è da lì che il premier può ripartire come sostengono diversi esponenti della maggioranza”. Lo sostiene il sondaggista Nando PAGNONCELLI di Ipsos in una intervista a Il Fatto Quotidiano nella quale sostiene che al SI sono arrivati l’80,6% dei voti del Pd alle Europee; il 48,7% di quelli di Ncd-Udc; il 23,8% di quelli di Forza Italia; il 16,4% di quelli di sinistra; il 10,9% degli elettori della Lega, il 10,4% di Fdi e il 9,9% pure dal M5S e “per questo dire che quel 40% è l’embrione del partito di Renzi o del partito della nazione è una semplificazione che non sta né in cielo né in terra. Tra quegli elettori c’è dentro un po’ di tutto e molti di loro, in caso di elezioni politiche, non starebbero mai dalla parte di Renzi. Quel 40% non è paragonabile alla cifra ottenuta dal Pd alle Europee del 2014. Un referendum viaggia su binari completamente diversi”, “la loro è una semplificazione dovuta anche al linguaggio imposto dai social media, che oltretutto non tiene conto dello scenario tripolare: ormai sempre più spesso assistiamo a due alleati estemporanei che si coalizzano contro un terzo. Lo abbiamo visto in questo referendum, ma anche a Torino con la Appendino”.
Quindi, aggiunge, Renzi può ripartire “dai voti del Pd, che al momento stanno intorno al 30%, ma nemmeno tutti. Come non può contare nemmeno sui voti totali degli alleati. A farlo sperare potrebbe essere il grado di fiducia degli italiani nei suoi confronti, il 36%, dietro solo a Sergio Mattarella col 61. Ma anche qui non confondiamo: il grado di fiducia non è traducibile in voti nell’urna in caso di elezioni”. E’ stato un voto contro la riforma o contro Renzi? “Alla vigilia del referendum, secondo un nostro sondaggio, solo il 14% degli italiani dichiarava di conoscere in dettaglio la riforma costituzionale, mentre il 50% diceva di conoscerla a grandi linee. Perciò la politicizzazione e la personalizzazione del voto sono stati elementi decisivi”. Sostiene inoltre che hanno votato contro Renzi il Sud e i giovani: “Tutti i ceti più esposti alla crisi: anche disoccupati, partite Iva, precari e piccoli imprenditori. La mancata crescita e l’emergenza immigrazione hanno fatto il resto”.