rassegna stampa
(di V.L.) La “spreadonomics” non perdona. Ogni giorno i governi non possono affrancarsi dal giudizio degli investitori. Se questi intravedono un peggioramento di scenario nei confronti degli asset su cui hanno posizionato i capitali è inevitabile che aumenti la propensione a vendere e quindi il valore virtuale di quegli asset diminuisca.
L’Italia negli ultimi mesi ha sperimentato qualcosa del genere. Dal 28 febbraio – a ridosso delle elezioni del 4 marzo – il valore di mercato di obbligazioni (sia societarie che governative) e delle azioni quotate a Piazza Affari è diminuito di 198 miliardi di euro, oltre il 10% del Prodotto interno lordo. Se poi si aggiungono i titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia e da investitori esteri il passivo potenziale cresce a 304,7 miliardi.
È quanto emerge dalle stime elaborate dal sociologo Luca Ricolfi della Fondazione David Hume che precisa che «le perdite calcolate sono ovviamente virtuali, e potrebbero essere riassorbite, o tramutarsi in guadagni, ove la situazione economica e le valutazioni dei mercati nei prossimi mesi o anni dovessero evolvere positivamente».
I calcoli sono stati suddivisi in due periodi: dal 28 febbraio al 31 maggio (dal pre-elezioni all’insediamento del nuovo governo) e dal 31 maggio al 19 ottobre. Nella prima parte le perdite virtuali ammontano a 91,2 miliardi (52,9 delle quali attribuibili ai titoli di Stato). Nella seconda parte il bilancio è di -106,8 miliardi. In questo caso la fetta più importante riguarda Piazza Affari, svalutata di 52 miliardi.
Nel complesso, ragionando su una popolazione di 60 milioni, è come se in otto mesi il valore di azioni e bond in portafoglio si fosse deprezzato per 3.300 euro a persona. Ricolfi ha provato a calcolare la perdita virtuale per famiglie e imprese. «Usando i dati disponibili sulle consistenze della ricchezza finanziaria e le nostre stime dei tassi di deprezzamento di azioni, obbligazioni e titoli di Stato, possiamo farci un’idea dell’ordine di grandezza minimo delle perdite: almeno 122 miliardi dalla data del voto, di cui 68 dal momento dell’insediamento del Governo» si legge nello studio.
Il calcolo è stato effettuato considerando esclusivamente quella parte della ricchezza finanziaria di famiglie e imprese che è più sensibile alle fluttuazioni di mercato, in particolare titoli del debito pubblico, obbligazioni, quote di fondi comuni, azioni e altre partecipazioni (incluse le società non quotate). (…)
Questi numeri provano a dare la dimensione del costo dello scontro in atto tra governo e Commissione europea. Un altro modo di guardare allo spread tra BTp e Bund che nel frattempo è passato da 120 a 310 punti base. (…)