di Stefania Piazzo – L’Europa non l’hanno inventata le banche né è nata nei sogni dei populisti. Arriva, per fortuna, da lontano e non dai social, non è una creazione dei partiti.
Chi l’ha detto che l’economia di mercato ha radici nell’illuminismo, nel calcolo speculativo della ragione piuttosto che nel saio? Scommettiamo? Vediamo perché… Iniziamo col dire che Robert Schuman “padre dell’Europa”, veniva chiamato anche “ministro- monaco” per aver avuto come guida un vescovo monaco, quell’anziano priore dell’Abbazia di Beuron, diventato poi abate di Maria-Laach, la celebre abbazia benedettina (toh!) renana, fonte del rinnovamento liturgico, che finì col diventare vescovo di Metz, a sua volta grandissimo centro scrittorio medievale che ci tramandò letteratura, arte, economia.
Gira e rigira, l’Europa bazzica lì. Nei chiostri, nel culto di San Benedetto, patrono dell’Europa che poco c’entra con quella che subiamo. Infatti il 9 maggio si celebra la decapitazione del progetto originario che vide nascere la prima Europa postbellum. Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo firmavano la “Dichiarazione Schuman”, insieme di comandamenti laici per la pace, la stabilità politica ed economica.
L’Europa che conosciamo oggi, ricelebrata da un superstato europeo, è lontanissima dalle intenzioni e dai pensieri delle origini. La moneta è diventata simbolo unico di unità. L’economia che se ne frega di perseguire il bene è l’altare di questo vitello d’oro, alimento dello Statalismo che annulla la libera impresa e trasforma l’uomo in «un fattore produttivo e di consumo» (Gotti Tedeschi, Rino Camilleri in Denaro e Paradiso).
Ma perché possiamo dire che l’Europa sta tradendo se stessa? Non solo perché ce lo ricordarono Ratzinger o Marcello Pera, invocando una religione civile cristiana il primo e una religione civile il secondo, pur di arginare il relativismo che ha sconfitto l’ingresso delle radici cristiane nella Costituzione europea… (ma oggi ve lo immaginate un dialogo tra un papa e un politico? altri tempi, eppure non sono passati secoli, ndr).
È la storia a dimostrarlo: la placenta europea è l’abito del saio. Non erano un esercito i pensatori che costruirono le trame della civiltà ma, citando Arnold Toynbee, storico britannico nel cuore del papa bavarese, una società dipende sempre «dalle minoranze creative».
Qual è il patrimonio ereditario dei creativi che anche oggi farebbero le scarpe alla Banca centrale europea?
Potremmo partire ricordando i gesuiti e la scuola spagnola di Salamanca, nel XVI secolo. Fissarono niente meno che un principio moderno: la libertà si sposa con la responsabilità economica. Ma lo studio dei numeri contagia i continuatori dell’economia curtense, del sistema basato sull’autonomia e la difesa delle risorse territoriali: ci sono domenicani, come Francisco de Vitoria (1492-1546) – considerato il “padre” della scolastica spagnola – Domingo de Soto e Martin de Azpilqueta; francescani come Juan de Medina, Luis de Alcalà e Henrique de Villalobos; agostiniani come il vescovo Miguel Salón e Pedro de Aragón, pensatori gesuiti come Luis de Molina, Juan de Mariana, Francisco Suarez, Leonardo Lessio.
Un esercito di professori di economia… che coniugano l’etica allo sviluppo e che, indirettamente, anticipano il principio di vigilanza sull’accanimento interventista e assistenziale dello Stato che preleva e redistribuisce a propria discrezione, violando la valutazione di responsabilità legata alla libertà. È un pensiero, quello che ereditiamo da Salamona dal cosiddetto Secolo d’oro, che ha origini lontane, e che addita come primo tra i primi liberisti il domenicano Tommaso d’Aquino, che si preoccupò di distinguere tra gli scambi onesti e quelli fraudolenti.
Niente meno che un principio moderno: la libertà si sposa con la responsabilità economica. Ma lo studio dei numeri contagia i continuatori dell’economia curtense, del sistema basato sull’autonomia e la difesa delle risorse territoriali: ci sono domenicani, come Francisco de Vitoria (1492-1546) – considerato il “padre” della scolastica spagnola – Domingo de Soto e Martin de Azpilqueta; francescani come Juan de Medina, Luis de Alcalà e Henrique de Villalobos; agostiniani come il vescovo Miguel Salón e Pedro de Aragón, pensatori gesuiti come Luis de Molina, Juan de Mariana, Francisco Suarez, Leonardo Lessio. Un esercito di professori di economia… che coniugano l’etica allo sviluppo e che, indirettamente, anticipano il principio di vigilanza sull’accanimento interventista e assistenziale dello Stato che preleva e redistribuisce.
In sostanza tra il prezzo dello scambio e il quantitatis valoris, l’odierno prezzo concorrenziale di mercato. In altre parole, il giusto prezzo di una merce, che non era certo un valore imposto dal monopolio né da un’autorità pubblica. Ma l’eredità dell’abbazia prosegue, come scrive Jesús Huerta de Soto, ordinario di economia politica all’Universidad Rey Juan Carlos di Madrid, esponente di spicco della moderna Scuola austriaca di economia: «L’influenza intellettuale dei teorici spagnoli della Scuola di Salamanca Salamanca sulla Scuola Austriaca non è, d’altra parte, una mera coincidenza o un puro capriccio della storia, bensì trova la propria origine e ragion d’essere nelle intime relazioni storiche, politiche e culturali che a partire da Carlo V e da suo fratelloFernando I sorsero tra Spagna ed Austria e che si sarebbero mantenute durante vari secoli.
In tali relazioni, inoltre, giocò un ruolo importantissimo anche l’Italia, che funse da vero ponte culturale, economico e finanziario attraverso il quale fluivano le relazioni tra ambi gli estremi dell’Impero (la Spagna e Vienna) ’36». Tra i pensatori spagnoli, giuristi e filosofi del diritto artefici di una fioritura del pensiero giuridico ed economico giusnaturalistico e liberale ante litteram vanno ricordati «i francescani Juan de Medina (1490-1546) e Alfonso de Castro, con il suo De Potestate Legis Poenalis del 1550; e, poi, Gregorio de Valencia e Bartolomé de Medina.
Occorre, inoltre, rammentare Gabriel Vázquez, di cui ricordiamo il trattato In Primam Secundæ. Sono, ancora, da menzionare Martín de Azpilcueta Navarro, autore di un fondamentale Comentario resolutorio de cambios; Tomás de Mercado (ca. 1500-1575) e la sua Suma de tratos y contratos, pubblicata a Siviglia nel 1571; Melchor Cano (1509-1560), Fernando Vázquez de Menchaca (1509-1566) e Diego de Covarrubias y Leyva (1512-1577) – detto “il Bartolo spagnolo”–, del quale si rammenta ilVariarum (1554); Domingo de Báñez (1528-1604); Luis Saravia de la Calle, con il suo Instrucción de mercaderes (Medina del Campo, 1544); e Francisco García, il quale sviluppò la teoria economica del valore dei beni basata sull’utilità soggettiva nel suo Tratado Utilísimo (Valencia, 1583); e, infine, il cardinale gesuita Juan de Lugo (1583-1660)». (da “Il movimento libertario americano dagli anni Sessanta ad oggi: radici storico-dottrinali e discriminanti ideologico-politiche”, Paolo Zanotto, Dipartimento Scienze storiche Università di Perugia).
Le origini del mercato (libero e non assistito, ispirato all’etica e non allosfruttamento), le radici dell’Europa economica dal Medioevo in poi dimostrano come la nostra età moderna sia debitrice negli affari pratici alle scoperte” del Medioevo, «dal contratto di affitto alla lettera di scambio, dall’assegno bancario alle tratte e alle cambiali, dalle principali forme e tecniche del credito, all’attività bancaria», come ha scritto Oreste Bazzicchi in “Alle radici del capitalismo. Medioevo e scienza economica”. Ma non è la sola scoperta sul capitalismo antelitteram. Perché persino il santo della povertà vanta tra i propri eredi fior di francescani votati all’economia, come il teologo Pietro Di Giovanni Olivi (1248-1298) col suo Tractatus de emptione et venditione, de contractibus usurariis et restitunionibus, in cui si distingue tra un prestito comune e uno invece destinato a investimenti produttivi, agli interessi spropositati e ingiustificati pretesi per un prestito e invece il giusto frutto di un anticipo in moneta, questione su cui s’interroga anche un altro francescano, Giovanni Giovanni Duns Scoto.
Più sorprendente è però non trovare disprezzo per la scommessa, l’azzardo. Un anticipo di spirito borsistico? Resta il fatto che l’azzardo, stando a quanto rivelato da Giovanni Ceccarelli, docente all’Università di Venezia e Padova, nel suo lavoro “Il gioco e il peccato (ed. Il Mulino), apre alla dottrina del rischio, principio che agita da sempre le concezioni economiche del nostro tempo. A fondo sulla questione anche Giacomo Todeschini, dell’Università di Trieste luminare della materia con “I mercanti e il tempio”.
Nell’epoca della moneta unica, un anticipo di leciti scambi lo troviamo ancora nel trattato del ministro generale dell’Ordine dei Francescani, Alessandro da Alessandria: nel suo De usuris si tratta di credito, operazioni finanziarie e, in particolare, dell’arte camsporia (il cambio della moneta) tutt’altro che gratuita, ribadisce, in quanto «è necessaria per l’utilità di coloro che
viaggiano nelle diverse regioni per lo scambio delle cose, senza il quale non c’è vita sociale».
Come ricorda Dario Antiseri, specialista in filosofia della scienza e filosofia del linguaggio alla Luiss di Roma e firma nobile del quotidiano dei Vescovi italiani, «furono Artesano di Asti e Gerardo di Odone, due altri teologi francescani, che a pochi anni di distanza dal lavoro di Alessandro di Alessandria trascrissero, talvolta “ad litteram”, la dottrina cambiaria di Alessandro e la teoria della produttività del capitale monetario dell’Olivi- idee che subito dopo vennero registrate da quanti, e furono molti, da San Bernardino da Siena a Sant’Antonino da Firenze, da Leonardo Fibonacci a Nicola Oresme – si occuperanno di etica economica, di moneta e di cambi.
Josef Schumpeter, nella sua monumentale “Storia dell’analisi economica”, pone Sant’Antonino da Firenze tra i fondatori dell’economia scientifica, senza citare nemmeno una volta san Bernardino da Siena. Senonché, come ha dimostrato Raymond de Roover (nel volume “St. Bernardino of Siena and St. Antonino of Florence: the two great thinkers of Middle Ages”, Boston, 1967), la maggior parte delle idee esposte da sant’Antonino nella sua “Summa Theologica” sono riprese dagli scritti di san Bernardino, il quale, a sua volta, aveva attinto a piene mani alle dottrine del francescano Pietro di Giovanni Olivi.
È così, dunque, che dobbiamo a dotti e geniali francescani l’origine di quella possente tradizione che, grazie alla successiva elaborazione dottrinale dei tardo-scolastici, si innestò nel filone dell’illuminismo scozzese e confluirà, ai nostri giorni, nella Scuola austriaca di economia».