Lettera de lindipendenza ai politici distratti del Nord: il vero decreto dignità lo scrisse il vostro bresciano Paolo VI. Documentatevi

Cari politici, in particolare del Nord, in queste settimane la nostra redazione è sommersa da lettere contro Tizio e contro Caio. Non ne abbiamo pubblicata mezza, perché siamo stanchi di leggere sempre le stesse cose. Quelli contro Bossi e i bossiani. Le lettere contro quelli di Grande Nord e quelli di Grande Nord contro la Lega. Quelli contro Salvini e i populisti, contro il felpetta e via dicendo. Basta!! State stancando anche i santi. Siete dei criticoni monotoni. Critiche che piovono come polpette, idee neanche lontano un miglio. Cari amici, la politica non si fa gridando e tirando solo uova. Servono le idee.  Servono i fatti, occorre far funzionare il cervello. Invece leggiamo solo rancore, tutto rimescolato in un pozzo di risentimento che non genera nulla. Solo cose ovvie e ripetute.

E poi, sia concesso, basta anche con la riproposizione perpetua di Bossi. Bossi è un grande politico, ma ha fatto una scelta. Con chi sta? Sta nella Lega di Salvini, ha scelto la Lega di Salvini. Un posto certo nella Lega che ha fatto nascere e che, per quanto imperfetta, per non farlo andare da un’altra parte, ha mandato giù la medicina amara e se lo è ricandidato. Bossi è e resta nella Lega. Bossi è un pezzo di storia ma è rimasto nella nuova Lega nazionale. Dunque, chi se ne è uscito provi magari a voltare pagina e ad abbandonare il tema del tradimento. Le categorie dei nostalgici, degli ex, o i “bossiani”, non sono un programma politico. Fuori dunque con le idee che il populismo non ha. Il reducismo non è un programma di speranza. E’ un museo. Così come il populismo e la democrazia dei social non sono humus per un futuro. Proclami e slogan da una parte e dall’altra, con reciproci fanculo. Se il Nord ha questo come prospettiva, per altri 30 anni aspetterà un altro messia.

Già su questo giornale abbiamo accennato anche al tema della democrazia… elettorale. Chi vota è consapevole? Ma è un tema evidentemente troppo lontano e inutile per la categoria dei criticoni.

In queste settimane è in discussione il tema del lavoro legato al decreto dignità. Ed è anche l’anniversario della morte di un grandissimo papa, Paolo VI. Un lombardo! Un bresciano! Accidenti se qualcuno ha detto qualcosa sul patrimonio lasciato da un grande uomo di cultura, di mediazione, di quelli che oggi ci si sogna! Tra le sue encicliche ce n’è una che potrebbe sostituire e rottamare il decreto dignità del governo e i piani di difesa dai migranti. Da bravi lombardi preoccupati a scambiarsi reciproci insulti tra leghisti ed ex leghisti, e non a fare politica, magari, la ricordiamo. E’ la POPULORUM PROGRESSIO. 

Titolava, il papa, che “LA QUESTIONE SOCIALE È QUESTIONE MORALE”. Vedete come il governo non ha inventato nulla di nuovo? Diamine, basterebbe dire questo, che Di Maio copia il papa 50 anni dopo e già sarebbe un punto in meno per il governo giallo-verde. Ma non ci si arriva.

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Lo “Sviluppo dei popoli”, e si badi bene non del popolo, quindi nulla a che fare con il populismo salviniano, è il primo capitolo dell’enciclica. I popoli sono tanti. Caspita, questa è autonomia! Ma lo deve dire un giornale? Forse la gente aspetta che siano i politici a proporre. Ad argomentare le loro idee. Macchè, insulti. 

Paolo VI supera anche il ministro dell’Interno, che quindi pure lui copia il papa, e non lo si dice, affermando che “Il fatto maggiore…  è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale”. Caspita, è il tema delle migrazioni, degli sbarchi.

E infatti prima dei viaggi in Libia del governo, Paolo VI nelle vesti ancora di arcivescovo di Milano (dunque, pastore ambrosiano, la più grande diocesi d’Europa!) era andato alla fonte del problema. “I nostri viaggi… (…) Prima della nostra chiamata al supremo pontificato, due viaggi, nell’America latina (1960) e in Africa (1962), ci avevano messo a contatto immediato con i laceranti problemi che attanagliano continenti pieni di vita e di speranza. (…) …  abbiamo ritenuto che facesse parte del nostro dovere il creare presso gli organismi centrali della chiesa una commissione pontificia che avesse il compito di “suscitare in tutto il popolo di Dio la piena conoscenza del ruolo che i tempi attuali reclamano da lui, in modo da promuovere il progresso dei popoli più poveri, da favorire la giustizia sociale tra le nazioni, da offrire a quelle che sono meno sviluppate un aiuto tale che le metta in grado di provvedere esse stesse e per se stesse al loro progresso”. Avete letto bene, vero? Provvedere esse stesse al loro progresso! Meglio di un insulto, è copiare e citare Paolo VI.

E veniamo ai punti di contatto con i temi del decreto dignità e l’enciclica.

“Scala dei valori- (…) Legittimo è il desiderio del necessario, e il lavoro per arrivarci è un dovere: “Se qualcuno si rifiuta di lavorare, non deve neanche mangiare”. Avete letto bene, chi non vuole lavorare, non ha diritto di essere mantenuto! Ha detto tutto. E’ lo Statuto del Nord! E’ da 50 anni sotto il naso dei lombardi, troppo preoccupati però a farsi la guerra. 

 

Poi Paolo VI fa una affermazione gigante. E’ vero che servono solo tecnici per lo sviluppo?  “Se il perseguimento dello sviluppo richiede un numero sempre più grande di tecnici, esige ancor di più uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d’un umanesimo nuovo, che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso (…). In tal modo potrà compiersi in pienezza il vero sviluppo, che è il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane”. Per noi comunicatori è una buona notizia, peccato il nostro non sia riconosciuto come un lavoro! Ma Paolo VI aveva centrato il punto. Serve gente capace di pensare. Vale quanto un ingegnere e forse più. Pensare non è un hobby. Faticare nel trovare idee non è per tutti. Eppure non è un lavoro retribuito con dignità, oggi.

Poi c’è l’appello agli imprenditori, alle imprese, agli Stati. Volete dare un lavoro dignitoso? Si fa così. Perché le condizioni solo meno umane o più umane, scrive il papa. “Meno umane: le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso (gli imprenditori non lungimiranti, ndr), che da quelli del potere (i partiti, i governi ndr) , dallo sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni (le banche, nrd). Più umane: (…)  l’ampliamento delle conoscenze, l’acquisizione della cultura. Più umane, altresì: l’accresciuta considerazione della dignità degli altri… “.

 

Poi c’è la chicca! Riguarda il “Capitalismo liberale”. “Ma su queste condizioni nuove della società si è malauguratamente instaurato un sistema che considerava il profitto come motore essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema dell’economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti”.

Arricchirsi e non investire. Sfruttare il lavoro. Degli altri.  “La sola iniziativa individuale e il semplice gioco della concorrenza non potrebbero assicurare il successo dello sviluppo”.

“Sono dunque necessari dei programmi per “incoraggiare, stimolare, coordinare, supplire e integrare” l’azione degli individui e dei corpi intermedi”. Sapete cosa sono i corpi intermedi? Sono i Comuni, gli enti locali, è il territorio con le sue autonomie. Sono le fondazioni bancarie.

Paolo VI sta continuando a scrivere lo Statuto del Nord. Ma andiamo avanti.

“Spetta ai poteri pubblici di scegliere, o anche di imporre, gli obiettivi da perseguire, i traguardi da raggiungere, i mezzi onde pervenirvi… (…) Certo, devono aver cura di associare a quest’opera le iniziative private e i corpi intermedi (e li cita per la seconda volta!, ndr), evitando in tal modo (…) una pianificazione arbitraria(…)”. E’ contro il centralismo! Altro che sovranismo! Serve dare potere ai corpi intermedi.

Ci si arriva con la scuola, con la cultura: “(…) l’educazione di base è il primo obiettivo d’un piano di sviluppo”.

“Tutti i popoli artefici del loro destino (…) Perché è proprio a questo che bisogna arrivare”. Il papa faceva appello sì ad una solidarietà mondiale, ma non fine a se stessa. Non quella che abbiamo visto consumarsi nella speculazione dell’accoglienza. Non quella della globalizzazione. Insomma, o il capitalismo di casa nostra è umano o non serve. O si interpellano le autonomie locali o è arbitrio centralistico. O la visione è internazionale e non solo localistica, o si perde la sfida. Paolo VI il bresciano lo scriveva  nel 1967, “quarto (anno, ndr) del nostro pontificato”.

Se la salvezza del Nord passa da quello che vediamo, leggiamo e sentiamo, la salvezza è altrove.

 

 

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