di STEFANIA PIAZZO – A distanza di quasi 40 anni dall’omicidio Moro, non possiamo dire che il compromesso storico non abbia raggiunto l’apice del successo. Ecco qua. Matteo Renzi era riuscito a realizzare l’equilibrio perfetto, o quasi, tra poteri. Aveva costruito una maggioranza che governava e governa anche senza l’opposizione, dialogava con una opposizione che è dentro la maggioranza. Con Gentiloni, seguito di Renzi, è la democratura perfetta, la dittatura vestita a festa da democrazia. Il termine ormai è stato sdoganato ma il carro su cui corre è il compromesso storico, questo è il vero abito.
Ormai è sotto gli occhi di tutti e si è perfettamente coscienti di come il sistema sia maledettamente bloccato. Il punto è: come se ne esce, ammesso sia possibile uscirne. E quali sono i volti dei leader che faranno la coda per fare i rivoluzionari? Con quali loro uomini accanto? Domanda imbarazzante.
Ma ci interessa anche capire se sia o meno finito il Nord, quel Nord un tempo tutelato da una coalizione politica. Come si configura oggi la rappresentanza del Nord, soprattutto dopo la grande crisi, dentro la grande crisi e con tiepidi ma ancora troppo deboli segnali di ripresa…?
Matteo Salvini forse è stato il primo a capire che la rappresentanza del Nord è finita. Lo è almeno quella storicamente rappresentata in Parlamento, perché sui territori esistono ancora minoranze autonomiste che rivendicano al primo posto l’autodeterminazione economica e culturale dei padani.
Ora come ora, il centrodestra, per dirla alla Ilvo Diamanti, è in libera uscita. Come non dire che è così…
Anche Marco Alfieri, giornalista che aveva fotografato il male del Nord e scandagliato le ragioni dell’allora insuccesso del centrosinistra al Nord, aveva affermato che dopo 20 anni di leghismo, il male del Nord è diventato per la crisi, il male italiano. Un po’ quello che va ripetendo Salvini sul lavoro, la sicurezza, l’immigrazione, l’euro. Un disagio omologante? Così forte da appiattire le differenze, le culture, le ragioni, le rivendicazioni? Non lo crediamo affatto.
Rispetto all’Europa, da questo punto di vista, la Padania con Salvini che lo sbandiera, si è italianizzata, e l’Europa diventa il Nord a Nord della Padania, trasformatasi in regione del Sud Europa. Un unico grande Sud con un piccolo Nord.
Oggi il patto fiscale si è rotto da Nord a Sud, il fordismo tradizionale è finito, e il lavoro autonomo non sa più quale sia la rappresentanza che lo rappresenta. La delega un tempo alla Dc e poi finita alla Lega, oggi è a caccia di una casa comune. La Lega ha scoperto che il Nord ha qualcuno più a Nord a cui dover rispondere, e questo non è certo il massimo, perché significa essere stati meridionalizzati da Bruxelles, emarginati dalle decisioni che contano.
Morale? Fuori dagli schemi della destra e della sinistra, il Carroccio di Salvini oggi appare sempre più come un partito regionale europeo, del Sud Europa, ma che non ha la forza di imporsi sullo scenario geopolitico trattando a 360° la politica estera. Non basta un viaggio da Putin per accreditarsi, ma occorre saper parlare comprendendo tutti gli scenari.
Il Nord chiede rappresentanza.