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Le tre Italie al voto nei referendum, dalla devolution a Renzi: solo dal Nord l’autentica spinta per cambiare. Ma senza macroregione non si vince

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di SERGIO BIANCHINI – C’è qualcosa di simile e di fatale nei due fallimenti dei due tentativi recenti di grande riforma della costituzione italiana. Uno è quello del 2006 sostenuto dal governo Berlusconi Bossi che perse, nel referendum confermativo, in tutte le regioni escluso Lombardia e Veneto.

L’altro è quello del Governo Renzi Alfano perdente in tutte le regioni salvo Toscana ed Emilia Romagna. Non considero la posizione del Trentino Alto Adige che è un’area piccola e particolarissima

In entrambi i referendum il centrosud ha espresso un rigetto assolutamente maggioritario, plebiscitario.

Nel giro di 10 anni le tre Italie si sono mostrate chiaramente. Le prime due, Nord e Centro hanno cercato, separatamente, di mettere mano alla riorganizzazione dell’Italia intera e dello stato.

Il Nord tentò con la sua cultura, quella più liberale e federalista. Il Centro con quella sua tradizionale, più centralista. In entrambe i casi il Sud si oppose senza precise motivazioni o modelli alternativi ma solo aggregandosi alla posizione dissenziente.

E quindi a mio parere prescindendo da considerazioni immediatamente politiche più o meno destro-sinistrorse bisogna trarre la lezione che solo un’alleanza chiara e consapevole delle prime due Italie, Nord e Centro, può produrre la forza necessaria per un grande e durevole cambiamento dello stato e per il passaggio dall’Italia attuale ad una Italia moderna, efficiente, viva e leale con se stessa e col mondo intero.

Chiaramente, l’esplicitazione di questo scenario e le infinite conseguenze relazionali, culturali, organizzative e politiche che ne discendono, implica l’accettazione della realtà che è sotto gli occhi di tutti e cioè che le Italie sono tre. Questa accettazione è fonte di innumerevoli suggerimenti positivi e produrrebbe immediatamente sincerità e chiarezza sia nelle tre diverse comunità che nelle loro fortissime e forse inestricabili relazioni reciproche.

Produrrebbe anche la fine di tutti i rancori e le litigiosità pretestuose, più o meno giustificate, più o meno sotterranee, che rendono da sempre il paese intero instabile ed ingovernabile.

Non è, ormai chiaramente, con ingegneristiche operazioni numeriche sui quorum elettorali che si potrà raggiungere la stabilità e la governabilità perché la diabolica intelligenza dell’Italiano insoddisfatto e  furbesco è indomabile e si trasferisce implacabilmente nel sistema giuridico.

Bisogna quindi pensare ad una indipendenza strategica che avanzi contemporaneamente ad una alleanza strategica delle aree diverse aree del paese che necessariamente deve partire da quelle più avanzate.  Queste aree potrebbero trasformarsi, in modo intelligente, consapevole e trasparente in macroregioni e quindi esprimere anche a livello istituzionale tutto il loro potenziale.

Se questo non avverrà non può che avanzare la disgregazione ed alla fine la disintegrazione del sistema.

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