di DON FLORIANO PELLEGRINI
Ammettiamo, per ipotesi, doverosa, che noi Veneti siamo tendenziosi o preconcetti nell’interpretazione del plebiscito del 1866 quale atto in sé stesso invalido, vergognoso per Casa Savoja & C. e inadatto ad esprimere, come doveva essere, la libera volontà dei membri dell’allora regno del Lombardo-Veneto di aggregarsi o meno «agli Stati del regno d’Italia». Basta però una carrellata delle fonti in internet, italiane e straniere, comunque non venete, per accorgersi che questo è il pensiero riferito, quando esplicitamente e quando con qualche cautela, da tutti. Sinora non abbiamo trovato alcuna fonte che dica corretto il comportamento dei Savoja. E sì che fonti ce ne sono a centinaia, e di tutti gli orientamenti!
Prendiamo, per accertarsene, un sito tra i tanti. [1] Si vede bene che l’opinione sul comportamento dei signori Savoja & C. non è proprio lusinghiero e se, infine, viene loro riconosciuto un «successo politico», esso è nel senso meno nobile della parola.
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Trattato di Vienna – 3 ottobre 1866
Il trattato di Vienna fu un accordo, firmato da Italia e Austria il 3 ottobre 1866, con il quale veniva dichiarata chiusa la terza guerra di indipendenza e il Veneto veniva ceduto dall’Austria alla Francia, che lo avrebbe poi trasferito all’Italia, previo il consenso degli abitanti tramite un plebiscito.
Il trattato fu firmato dal generale italiano Luigi Federico Menabrea e dal suo omologo austriaco, Emmanuel Félix de Wimpffen.
In seguito alla guerra Austro-Prussiana del 1866, battaglia di Sadowa, l’Austria fu sconfitta e dovette cedere il Veneto a Napoleone III. Il trattato di pace di Vienna firmato il 3 ottobre 1866 disponeva testualmente che la cessione del Veneto (con Mantova e Udine) al Regno d’Italia (che beneficiava della vittoria prussiana pur essendo stato sconfitta dall’Austria per terra a Custoza e per mare a Lissa) dovesse aversi sotto riserva del consenso delle popolazioni debitamente consultate.
Napoleone III procedette all’organizzazione di un plebiscito, in onorevole ottemperanza del trattato di pace, tuttavia fu soggetto a forti pressioni da parte di casa Savoia, affinché cedesse anzitempo le fortezze e il controllo militare della regione in anticipo sull’esito del plebiscito ed anche alla stessa organizzazione del plebiscito.
Il generale Leboeuf, cui fu affidato provvisoriamente il territorio del Veneto attuale, più Mantova e il Friuli (Pordenone-Udine), cercò di rispettare l’impegno.
Le pressioni di casa Savoia furono tali che alla fine Napoleone III ordinò al generale Leboeuf di ritirarsi e di consegnare le fortezze e di lasciar occupare il Veneto alle truppe di casa Savoia. Così il plebiscito fu organizzato da casa Savoia, che lo organizzò in modo da non dover contrattare nulla con i Veneti, che secondo alcuni persero così l’ultimo sprazzo di autonomia e libertà.
L’accesso alle operazioni di voto, come per altri plebisciti dell’epoca (ad esempio: quello svolto per l’annessione di Nizza alla Francia), e per ogni altra consultazione elettorale dell’epoca, escluse le donne e fu limitato per censo: interessò pertanto solo una parte minoritaria della popolazione (meno di 650.000 votanti su un totale di 2.603.009 residenti).
Il risultato (646.789 sì; 69 no; 567 voti nulli), rispecchiò, secondo alcuni studi storici, l’assoluta mancanza di segretezza nel voto e di trasparenza nelle conseguenti operazioni di scrutinio. In tal modo, la sostanziale sconfitta militare del Regno d’Italia nella Terza guerra di indipendenza italiana del 1866 si trasformò in un successo politico per casa Savoia.
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[1] Si tratta di: http://www.acrilforte.it/trattato%20di%20Vienna.html .