di RICCARDO POZZI – Spesso chi parla sempre di economia e di soldi, riconducendo ogni attività umana alla percezione di un reddito e alla sua consistenza, viene considerato esagerato, una sorta di venale compulsivo che tutto riduce al denaro e alle sue dinamiche.
Il denaro, invece, non ha niente di deteriore in sé, non è lo sterco del demonio ma la misura di quanto valga il nostro lavoro. Il denaro è un preciso parametro di paragone per verificare quanto valga, non ciò che siamo, ma ciò che sappiamo fare nel grande mercato delle persone che fanno.
Il nostro reddito decide non solo il nostro diretto tenore di vita ma anche se e dove manderemo a scuola i figli, il lavoro che faranno, l’assistenza che possiamo dare ai nostri genitori, la salubrità del nostro cibo, la qualità del nostro umore e i farmaci per tenerlo stabile (i ricchi sono sempre mediamente più gioiosi).
Ultimamente, però, ha iniziato a farsi strada un rapporto diverso tra reddito e lavoro. Soprattutto il movimento 5S, per mezzo dei comizi del suo leader fondatore, ci sta insegnando che, in realtà, lavoro e reddito non sono più nemmeno parenti e, sovente, il reddito non rappresenta nemmeno più il valore di ciò che facciamo ma, il valore del nostro essere umani. Staccare il concetto di reddito da quello di lavoro è un azzardo che può portare molto lontano e anche molto in basso.
Certo, la povertà è povertà. E un paese serio non lascia indietro chi non ha nemmeno da mangiare o pagare la luce, se ne fa carico e gli consente di vivere decentemente, perché non trae nessun beneficio dall’umiliazione di milioni di persone che non riescono a galleggiare.
Ma il nostro non è un paese normale.
Questa nazione è composta da regioni ormai da anni militarmente occupate dalla criminalità organizzata, che come sistema ha avuto e ha ancora la raccolta di pacchetti di voti sul territorio e la loro vendita alla politica che meglio li paga. Questa nazione conosce già tassi di assistenza falsificata che in certe aree sono tripli rispetto alla media nazionale e quadrupli rispetto alla media europea. Questo Stato conosce già il pubblico impiego usato come arma territoriale (il 93% dei dirigenti statali a ruolo provengono dal centro sud- Rocchio e Belvedere), ha visto i figli e i parenti dei boss, ormai acculturati, inserirsi nella pubblica amministrazione a livelli dirigenziali (Nicola Gratteri), ha già conosciuto l’arma sistematica del voto di scambio come sistema per bypassare il lavoro e giungere direttamente a un reddito. E , forse, la vera arma di smascheramento politico di questa pratica è l’imitazione.
Quel marpione di Cavour credeva che immergere il sud nelle “moderne” strutture statali del Regno del Piemonte lo avrebbe rapidamente modernizzato (Sabino Cassese) e reso omogeneo al resto della mittle Europa , invece fu lentamente il sud, e il suo modo di rapportarsi ai concetti di lavoro e pubblico impiego, a meridionalizzare il nord, e questo già dai primi decenni dall’unificazione.
Forse la soluzione a questo distorto modo di vedere l’economia sta proprio nell’estremizzarne le conseguenze e verificarne l’ovvio fallimento.
Voto di scambio e assistenza minima garantita anche nelle regioni del nord produttivo. Mah si, in fondo cos’altro ci resta da provare. Estendiamo a tutti i costituzionali diritti al lavoro e alla casa, basta mutui sanguinosi e lustri interi di lavori eseguiti malvolentieri proprio per pagare quei mutui. Che ci pensi lo Stato. Per tutti, però.
Chi paga? E che importa. Il reddito non dipende più dal lavoro, nasce da altre dinamiche e lo stampano da altre parti, magari nasce anche da alcuni alberi particolari, o sotto certi ortaggi di grande dimensione. Terronizziamci anche noi, e vediamo come va a finire. Tanto, alla fine, ogni quattro anni c’è un mondiale per riunire la patria.