di ENZO TRENTIN – Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del paese di Arlecchino e Pulcinella noi cittadini siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni, i nostri giornali, e gli altri mass-media, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore.
A Venezia-Mestre, con un prossimo referendum si prova a dividerle per la quinta volta, ma il sindaco Luigi Brugnaro non ci sta: «Da vent’anni sono contrario alla divisione del Comune di Venezia. Sono stato tra i primi a sostenere l’importanza della nascita della Città Metropolitana, impegnandomi perché potesse diventare realtà.» Così, più recentemente, la Giunta comunale autorizza preventivamente un ricorso contro il referendum. L’avvocato Marco Sitran (uno dei promotori del referendum) controbatte: «Noi presenteremo una querela per abuso d’ufficio»
Se ponderiamo la questione, il problema universale sta nelle grandi dimensioni. Nella riflessione di Leopold Kohr [https://it.wikipedia.org/wiki/Leopold_Kohr ] vi è la teoria delle dimensioni, secondo cui la causa di quasi tutte le miserie sociali è una sola: la grandezza. Per Kohr il raggiungimento di dimensioni eccessive non rappresenta uno dei tanti problemi sociali, ma è l’origine di ogni problema dell’universo. Ad esempio, le stelle esplodono quando raggiungono una dimensione eccessiva perché hanno superato i limiti invalicabili dell’espansione della materia; il corpo umano si ammala di cancro perché un gruppo di cellule ha cominciato a svilupparsi oltre i limiti fissati dalla natura; analogamente, se un organismo sociale si lascia prendere dalla febbre dell’aggressività, della brutalità o da una follia collettiva, spiega Kohr, «ciò avviene non perché esso sia caduto sotto un cattivo governo o sia colpito da aberrazione mentale, ma perché gli individui – che sono così amabili se presi uno ad uno o in piccoli gruppi – si sono fusi in unità sociali eccessivamente vaste, come le masse proletarie, i grandi sindacati, i cartelli, o le grandi potenze, incominciando quindi a scivolare lentamente verso un’inevitabile catastrofe.»
«Le guerre – spiega Kohr – sono sempre causate da un eccesso di grandezza o di potenza. Quando il potere raggiunge una certa misura critica, sentendosi al sicuro da ogni forma di ritorsione, degenera sempre nell’abuso, nella violenza e nella brutalità. Esiste pertanto una legge invariabile e universale secondo cui il pericolo di aggressioni si manifesta inevitabilmente tutte le volte in cui il potere di uno Stato diventa così grande da superare, nella valutazione di chi governa, quello delle forze avversarie. Uno Stato diventa automaticamente aggressivo quando fa sorgere in chi lo gestisce la convinzione di non poter essere minacciato dall’esistenza di altre più vaste accumulazioni di potere. La religione, l’ideologia, la razza o la cultura sono irrilevanti; quello che conta è solo la nuda materialità della massa del potere.»
Con queste premesse, rivolgiamo l’attenzione a un altro dei promotori del referendum: Pietro Alvise Gaggio. Costui assomiglia “all’ultimo samurai” del Giappone imperiale, morto a Tokyo 17 gennaio 2014: Hiroo Onoda, sottotenente dell’Esercito imperiale giapponese, ha passato 29 anni nascosto in una giungla filippina continuando a combattere per il Sol Levante. Dopo essersi arreso nel 1974 e aver consegnato la sua spada al presidente Marcos – che gli concesse la grazia nonostante 30 omicidi in tempo di pace – Onoda tornò in Giappone e prese a insegnare ai giovani il valore della redenzione e della pace.
Pietro Alvise Gaggio – appartenente ad un’antica famiglia patrizia veneziana – similmente a Hiroo Onoda fugge dall’oramai invivibile città lagunare, e nei mesi estivi “s’imbosca” in montagna. Tra il silenzio dei boschi ha avuto modo di redigere l’analisi economica del turismo di massa e del degrado veneziano, che qui proponiamo ai nostri lettori:
Dobbiamo batterci il petto, noi veneziani, per aver permesso in questi sessant’anni di (s)governo della politica cittadina, il progressivo sgretolamento del tessuto sociale e conseguentemente l’annientamento della millenaria Civiltà anfibia. Le cause del gravissimo degrado che hanno colpito a morte l’ex Capitale sono state:
- la (s)vendita dell’ex Capitale all’economia turistica di massa o globale, fattore primario e scatenante dell’incremento del valore immobiliare della Venezia anfibia, nuova peste venexiana del III Millennio.
- la negazione della ricostituzione del Comune di Mestre omologando quest’ultima quale temibile ambito territoriale concorrente della residenzialità di Venezia insulare.
- la mancanza di un piano progettuale strategico economico di riequilibrio su quella egemone del turismo di massa, associato al persistere della moribonda economia della chimica inquinante di Porto Marghera. In realtà, si è assecondata la volontà di consegnare la Città, nella sua parte insulare, a certe lobbie economiche che hanno costruito, e stanno creando le loro ricchezze sullo sfruttamento senza freni delle masse turistiche, consentendo, inoltre, la diffusione di attività prive di ricadute positive sui residenti violando quotidianamente le leggi fiscali.
La Città è stata travolta dal gigantesco sviluppo dell’economia turistica, in particolare dal turismo di massa, oggi chiamato globale; fenomeno questo, totalmente non governato dal potere politico (sia nei flussi sia nelle dinamiche), trovando nella Venezia insulare una specifica predisposizione, spesso sostenuta da scelte consapevoli e mai definite in un programma politico di vera governance economica.
Nessuno, sino a oggi, ha avuto l’onestà intellettuale, il coraggio e soprattutto lo stimolo etico di disquisire sul turismo globalizzato in termini di “suicidio assistito del residente”. Ed è quantomeno strano che il potere politico non abbia colto la valenza negativa delle interazioni che l’analisi politica socio-economica del turismo di massa provoca nel mondo (la recente ribellione dei residenti nell’isola di Pasqua ne è esempio significativo). Tutto ciò è incredibile poiché non è difficile osservare in questo fenomeno gli effetti dirompenti e devastanti di cui è portatore:
L’inarrestabile crescita del valore immobiliare – Le cause:
- La costante e massiccia richiesta immobiliare al mercato, proveniente dal settore turismo e dal mondo universitario che non trova né ha trovato alcun argine politico di contenimento o di pianificazione urbanistica favorevole alla residenzialità insulare permanente.
- Lo smantellamento, nella prima Giunta Cacciari (1997) assieme alla variante approvata dalla Regione (fine 1999), della vecchia famosa delibera dell’allora Sindaco Favaretto Fisca (1962 – blocco delle strutture ricettive per turisti e i passaggi di categoria).
- L’assoluta mancanza di programmazione e pianificazione di residenzialità pubblica agevolata universitaria. Oggi costringe gli studenti rivolgersi al mercato immobiliare privato, contribuendo, con le loro richieste, ad aumentarne il valore e peggiorare la situazione anziché promuovere aree specifiche non concorrenziali alla residenzialità autoctona e adatte alla costruzione di adeguati campus studenteschi pubblici a fitti agevolati.
- Gli investimenti speculativi nel settore immobiliare residenziale (locazioni brevissime a basso rischio fiscale ed economico – ad alta evasione fiscale a turisti e studenti universitari con canoni elevatissimi), che consentono e producono per l’investitore notevole redditività espellendo il residente autoctono.
- La totale mancanza di progetti concreti di espansione residenziale, come si è sempre fatto durante la Repubblica Serenissima, in isole vicine (Sant’Erasmo, Vignole, Certosa).
- L’arretratezza dei sistemi di mobilità pubblica e la mancanza di interconnessione veloce tra la Capoluogo, le sue isole e la terraferma.
Gli effetti:
- Nega l’acquisto o l’affitto dell’abitazione ai più, soprattutto alle giovani coppie (asse portante di una Città che voglia credere ad un futuro residenziale), determinando l’annientamento fisico della millenaria Società anfibia veneziana.
- Spinge all’espulsione del residente verso la terraferma, (cosa diversa da qualsiasi altra città storica). In effetti, qui la Città è identificata nella sola isola e la migrazione in terraferma della popolazione autoctona è percepita e vissuta come un vero sradicamento del sistema di vita passando da quello anfibio a quello terrestre.
- Determina l’abbandono dalla Venezia insulare anche delle sedi amministrative di enti e società in favore della terraferma per le alte plusvalenze immobiliari ottenibili, o se in affitto per il notevole risparmio che ne possono ricavare.
- Rende instabile la forza lavoro di alcuni servizi essenziali, caso rappresentativo, l’Ospedale Civile. Infatti, gli operatori ospedalieri non potendo trovare residenza in affitto o in acquisto a costi contenuti, sono costretti a grossi disagi giornalieri per le notevoli difficoltà di collegamento con la terraferma, chiedendo alla prima occasione il trasferimento in altri ospedali in terraferma.
- Causa l’espulsione delle attività artigianali e di servizio al residente, perché normalmente sono quelle più deboli economicamente, non sufficientemente in grado di sostenere affitti elevati né tantomeno acquisire i locali per la propria attività, mentre le attività commerciali rivolte al turismo, scontano una maggiore marginalità dovuta alla mancanza di concorrenza dei prodotti trattati e all’elevatissima evasione fiscale del settore.
La totale assenza di piano strategico per la programmazione di sviluppo economico alternativo e di riequilibrio alla monocultura del turismo.
La perdita dello status di “capitale”, e la successiva dequalificazione a mero “centro storico”, negandole quelle prerogative e peculiarità che la distinsero nei secoli.
Lo sfruttamento dei lavoratori, soprattutto a carico degli immigrati, nella considerazione che le attività legate al turismo sono per la maggior parte ad alta evasione fiscale e conseguentemente apportatrici di lavoro “in nero”.
Gravissimi danni fisici alla città, cedimenti delle rive e gravi lesioni alle fondamenta (es. palazzo Cà Foscari), tutti riconducibili al moto ondoso prodotto dall’ingente quantità di mezzi circolanti in funzione dell’economia del turismo.
Intasamento nei centri di assistenza sanitaria, determinato da una presenza non preventivata di “pazienti turisti”.
Inquinamento, prodotto dai gas di scarico delle mega–navi da crociera (oltre alle insidie costituite nell’attraversamento di questi bestioni nel fragile bacino di San Marco), assommato a quelli prodotti dal gigantesco traffico acqueo che associato alla salsedine, trasformano per effetto chimico della solfatazione, la pietra d’Istria in polvere di gesso.
Surplus nei costi dei servizi pubblici (asporto rifiuti, fognature, manutenzione e controllo del territorio, illuminazione specifica di aree o monumenti turistici, igiene e pulizie straordinarie delle aree a maggiore pressione turistica), oggi sono totalmente a carico dei pochi residenti.
Scarse ricadute economiche sulla collettività per l’elevatissima evasione fiscale del settore (la recente investitura di Venezia quale capitale dell’evasione contributiva e fiscale da parte della guardia di finanza).
Peggioramento generale della qualità di vita – Effetti:
- Progressiva perdita dello spazio pubblico a scapito della vivibilità per effetto dilagante dei plateatici e l’invadenza dei venditori abusivi, la cui presenza, ormai, è massiccia.
- Importazione di attività abusive e malavitose di ogni genere, attratte da facili guadagni illeciti ed esentasse (vu-cumprà, tassisti, intromettitori, guide, strimpellatori, figuranti, scatolettisti, baby borseggiatori, falsi mendicanti) rendono difficile la sicurezza e la convivenza.
- Scarsità di servizi igienici in città, con inevitabile trasformazione delle calli in latrine.
- Scarsità dei mezzi di navigazione pubblici, strapieni a tutte le ore esaspera la mobilità pubblica del residente.
- Aumento della rumorosità in certe aree centrali della Città (S. Margherita o Rialto), per la concentrazione massiccia di giovani universitari soprattutto nelle ore notturne o gruppi di improvvisati extracomunitari strimpellatori questuanti.
- Endemica sporcizia generale.
- Perdita della centralità del cittadino residente, a vantaggio del turismo nelle politiche di governo.
Certo è, che del turismo non ci si può né ci si deve privare, ma questa sua forma richiede una forte attenzione con politiche orientate al controllo e gestione dei flussi e di riqualificazione del turismo di massa. A maggior ragione, considerata la peculiarità veneziana, sarebbe necessario un riequilibrio economico articolato sulle “New e Green economy” e quella promettentissima del “Mare”.
Inoltre si deve iniziare a considerare il numero chiuso, la prenotazione obbligatoria e l’introduzione di una tassa di scopo in difesa e sostegno della residenzialità autoctona. Sono queste le uniche vie possibili contro l’annientamento fisico della città e sociale del residente (quello permanente). Nel frattempo, però, la Venezia d’acqua mostra con tutta evidenza l’emorragia di popolazione verso la terraferma. Oggi siamo scesi sotto i 60.000 residenti in città (recenti studi ricavati dalla produzione media dei rifiuti in Città parametrati a quelli di altre Città venete, indicano che la pressione turistica in città, già nel 2006 ha raggiunto le 74.000 presenze giornaliere equivalenti, pari a circa ventisette milioni annue), di fatto, superando del 23% gli stessi residenti.
Crediamo, dunque, che qualsiasi progetto politico che non dichiari prioritario questo tema, sia poco credibile perché porta con sé questioni essenziali come la casa, il lavoro, l’ambiente, la cultura, il sociale.
Più che di una denuncia, a ben vedere, si tratta di una serie di constatazioni difficilmente confutabili. E fintanto che l’esercizio della sovranità popolare, attraverso gli strumenti di democrazia diretta, sarà osteggiato, difficilmente si uscirà dalla crisi e dal degrado irreversibili.