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LA SOLIDARIETÀ PELOSA E L’ACCOGLIENZA LUCROSA

Uno striscione esposto in seguito alla protesta avvenuta nel centro di prima accoglienza di Cona (Venezia), 3 Gennaio 2016. ANSA / MICHELE GALVAN

di ENZO TRENTIN –  C’era una volta… è così che potremmo iniziare la nostra “favola” odierna, che come tutte le favole è ora nella fase dell’incubo, del dramma. Manca ancora l’insegnamento morale che è stato deviato, e dove nulla sembra andare per il verso giusto.

Ebbene in tema di solidarietà sino a pochi anni fa in occasione del Natale, ma a volte anche della Pasqua, il postino consegnava una lettera di qualche associazione caritatevole. Una volta aperta la busta tre erano le cose che conteneva: una lettera che illustrava gli scopi caritatevoli del sodalizio, alcune cartoline artistiche come omaggio, ed un bollettino di C/C nel quale depositare l’obolo. Chi voleva poteva stare in pace con la propria coscienza, uscendo dall’ufficio postale con la sua bella ricevuta in mano.

Ai giorni nostri non è più così. Sembra si sia scoperchiato lo Scrigno di Pandora. L’associazionismo solidale si veste delle più svariate forme giuridiche: fondazioni, libere associazioni, comitati, per questa o quella malattia o disabilità esotica, rara, più o meno sconosciuta. In questo panorama non è ancora giunta, forse, l’associazione dei traumatizzati da salto con la pertica, ma per il resto c’è proprio di tutto.

Continuamente da mane a sera i principali mezzi di comunicazione (la televisione su tutti) ci sollecitano a fare una telefonata per donare 2 o 7 o 9 euro a questa o quella piaga. La “stagionalità” della solidarietà è scomparsa. Telethon un tempo organizzava una “No stop di h.24”, poi divenne una 72 ore, ultimamente è diventata una settimana che trasmigra sulle tre reti RAI. Altre associazioni seguono a ruota secondo la loro disponibilità di advertising. Poi ci sono coloro che “ricambiano” l’obolo con la bambola di pezza, con la stella di natale o altri gadget floreali. “Acquista l’uovo di Pasqua per sostenere…”, e chi più ne ha più ne metta. Ma guai a protestare, ad avanzare qualche dubbio o perplessità, sareste bollati come immorali!

Mentre fate mente locale su possibili avventurieri e improvvisati della solidarietà, vi sarà venuto più volte il sospetto che dietro lo slancio umanitario dell’accoglienza si nascondesse soltanto il desiderio di business? Ne avrete la certezza leggendo il libro di Mario Giordano: «PROFUGOPOLI – Quelli che si riempiono le tasche con il business degli immigrati» © 2016 Mondadori Libri S.p.A., Milano.

Ma prima vediamo come inizia l’afflusso inesauribile dei “migranti” (vedi qui: https://www.youtube.com/watch?v=dP4rYgJKo_w). D’altra parte, come stupirsi? I profughi sono un’occasione per tutti, figuriamoci se non lo sono per chi opera nei sociale. Soprattutto se il loro settore non tira più abbastanza o incontra qualche difficoltà. Per esempio: è finita la stagione d’oro della tossicodipendenza? I disabili psichici non bastano? I rom sono caduti nelle maglie di Mafia Capitale? Niente paura: c’è l’emergenza immigrazione. Le Prefetture in affanno non cercano altro che strutture disposte ad aprire le loro porte. Per le cooperative sociali è semplice: basta presentarsi, e i guai sono risolti. Almeno quelli di bilancio. E se qualche cittadino si lamenta, pazienza: basta dargli del populista per farlo tacere…

Nel libro citato, Mario Giordano scrive ancora: «Se non ci fossero i profughi avrei dovuto chiudere l’albergo» Lo dice chiaramente Elio Nave, titolare dell’Hotel Quercia di Rovereto, in provincia di Trento, confessandosi al «Corriere delle Alpi»: «Non riuscivo a coprire le spese. Avevo già chiuso il ristorante. Poi avevo provato ad aprire una pizzeria, ma non è andata come speravo. E l’hotel non funzionava a dovere…». Adesso, invece, sulla porta d’ingresso c’è un cartello: «Completo». Tutto esaurito. Il sogno di ogni albergatore.

Dalla chiusura al tutto esaurito, in poche settimane. Com’è possibile? Ovvio: grazie ai profughi. «Tutte le camere sono riservate a loro» spiega il titolare. Vi sembra singolare? Lo sarà ancora di più se vi diciamo chi è il protagonista di questa storia. Infatti Elio Nave, classe 1955, nato e da sempre residente a Rovereto, già gestore di bar e di negozi di antichità, è un militante inossidabile della Lega Nord, il partito che manifesta contro gli sbarchi e condanna l’invasione dell’Italia. «Sono stato sempre leghista e sempre lo sarò, dice tutto fiero e incurante del fatto che il suo partito gli albergatori come lui li vorrebbe punire o far fallire… Contraddizione? No, io non ne vedo, risponde alle obiezioni, con invidiabile nonchalance. E in effetti: come dargli torto? Elio Nave ha sempre detto di amare il verde: pensavamo fosse Padania, invece era il colore dei soldi. O, almeno, la speranza di farli in modo facile.

Non è l’unico, del resto. I profughi appaiono come un buon affare per molti albergatori in difficoltà. «Mi hanno salvato dal fallimento e le banche sono tornate a farmi credito» dice per esempio Aldo Nicoli, titolare dell’Alligalli di Lonato, in provincia di Brescia. E pazienza se, nel frattempo, ha dovuto chiudere il ristorante, specializzato nel galletto («Non veniva più nessuno»). Che ci volete fare? Le Prefetture pagano bene. A volte più dei clienti. All’Albergo Ristorante Centrale Garò, due stelle di Bagnolo San Vito, in provincia di Mantova, per dire, una camera veniva data in offerta su Internet a 20 euro. Lo Stato ora garantisce 34,5 euro a persona. Non è conveniente? E allora come si fa a non partecipare ai bandi? E come si fa a non festeggiare quando si vince (ripetutamente)?

Succede anche a strutture più prestigiose, come l’agriturismo Ca’ del Vento di San Benedetto Po, sempre in provincia di Mantova: pur essendo assai elegante, con tanto di piscina (16×6), Wi-Fi e camere con Tv, su Internet offre pacchetti anticrisi dal lunedì al venerdì a 20 euro. Non è meglio siglare un bel contratto con il Ministero dell’Interno? Ventidue posti a 34,5 euro a persona. Entrata sicura, senza fatica. E se la colazione non è proprio abbondante, i profughi, a differenza dei clienti paganti, possono essere messi rapidamente a tacere…

Non c’è da stupirsi, dunque, se gli albergatori si fanno ingolosire. E non c’è da stupirsi se arrivano a stipare le loro strutture di profughi. Anche oltre ogni ragionevole limite. Il 10 settembre 2015 la trasmissione televisiva «Dalla vostra parte» diffonde un video amatoriale in cui si vedono delle tende montate in una piscina svuotata che servirebbero, per l’appunto, a ospitare gli stranieri inviati dalla Prefettura in un hotel: si tratta del Maremmano Bianco di Binanuova, nella Bassa Cremonese. Avrebbe dovuto accoglierne soltanto 18, invece sono più di 50. «Sono in linea con il contratto stipulato dalla Prefettura e tanto basta» si limita a dire il titolare, prima di addentare platealmente una forchettata di spaghetti davanti alle telecamere. «Mi scusi,» dice al giornalista. «Lei fa il suo lavoro, ma io devo mangiare…»

Ma sì, lui deve mangiare, si capisce. Si chiama Glauco Bitonte, 70 anni, napoletano di Agerola trapiantato nel Nord. Da qualche anno gestisce l’hotel nel paesino di Binanuova, dove c’è un po’ di apprensione, per la verità, perché 50 immigrati su 400 abitanti sono ritenuti un po’ troppi da quelle parti, e comunque al di fuori di qualsiasi parametro stabilito dal ministero. Ma all’uomo che ama gli spaghetti che importa? Fate due conti: per ogni ospite straniero incassa 34 euro. Se ne ospita 50, significa 1700 euro al giorno. In un anno sono oltre 600.000 euro, il triplo di quello che l’albergo di Bitonte ha fatturato in tutto il 2014 (200.520 euro). «Ho perso la clientela locale» si lamenta lui. Certo: ha perso la clientela locale. Ma ha triplicato gli incassi. Può continuare a scolare la pasta tranquillamente. E se qualche immigrato deve dormire un po’ scomodo, magari dentro una tenda piantata in una piscina vuota, problemi suoi…

E la Toscana? «Diciamoci la verità, il mio collega non ha voglia di lavorare» si sfoga un albergatore con il «Corriere della Sera». Siamo a Badia Prataglia, in provincia di Arezzo. Fa discutere, nel settembre 2015, la decisione di Paolo Mulinacci, titolare dell’Hotel Bellavista, di ospitare dai 20 ai 100 profughi. «In famiglia siamo quattro, tutti senza lavoro, così ho colto al volo l’occasione» spiega. «Io devo pure campare, quella gente è un’opportunità.» Un’opportunità da 33,59 euro al giorno per ogni immigrato ospitato al posto dei clienti paganti. Ma i suoi compaesani non sono d’accordo. Raccontano che il Bellavista è un hotel storico, il più bello del paese, l’unico con l’ascensore, «venivano i nobili, venne pure il Duce con Donna Rachele nella camera 24». Perché s’è ridotto così? In paese la spiegazione te la danno in un attimo: «Diciamo la verità: se ti dai da fare, vai a funghi e tartufi, se sei gentile, i turisti arrivano anche oggi. Il nostro collega, invece, non ha voglia di lavorare…».

È chiaro, no? I turisti bisogna andarseli a cercare, con fatica. I profughi, invece, te li manda la Prefettura. Basta vincere un bando. C’est plus facile. E poi i profughi non bevono vino, non mangiano prosciutto, non possono permettersi di avere pretese. Una pizza e via: tutto profitto. Semplice, no? L’albergatore si salva e il paese muore, chi se ne importa?

Per carità: gli albergatori, dal loro punto di vista, hanno ragione: «Il lavoro è lavoro». Ma bisognerebbe dirlo che non tutto il lavoro è uguale: chi ospita turisti in Italia produce ricchezza, chi ospita profughi invece no. Chi ospita profughi distrugge ricchezza perché assorbe denaro pubblico.  Chi poi ospita profughi in zone turistiche distrugge il turismo.

Nella tabella dal libro di Mario Giordano alcuni fatti di cronaca rilevanti.

profughi libro giordano

Del resto, anche sul piano della “carità cristiana” non andiamo molto meglio. A Trapani non è l’unica cosa andata storta nel campo dell’accoglienza. Anzi. Il caso più clamoroso è quello di don Sergio Librizzi, direttore della locale Caritas, condannato nell’ottobre 2015 a 9 anni di carcere per violenza sessuale e abusi sui migranti, oltre che interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e da qualsiasi ufficio attinente all’assistenza del prossimo. Sentenza severa? Nemmeno troppo. Il sacerdote, infatti, si è macchiato di un crimine orribile: prometteva ai disperati di aiutarli ad avere il permesso di soggiorno in cambio di prestazioni sessuali. Si faceva chiamare «Baba». «Dove vuoi andare? Dove ti piace… A casa tua…» diceva. E ripeteva: «L”amore è una medicina».

Di situazioni che lasciano interdetti, il libro di Mario Giordano è pieno. Intanto, al momento in cui scriviamo sono stati “raccattati” altri 3.000 “naufraghi”.  [http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/migranti_profughi_24_libia_sicilia_soccorsi-2327696.html ] Mentre leggete questo articolo il loro numero è sicuramente aumentato.

E allora riflettiamo. Questo giornale già nel suo titolo sottolinea la sua aspirazione. Ebbene il tratto saliente dell’attuale dibattito sulla secessione è il carattere apertamente morale che esso tende ad assumere. Anche coloro che solitamente abbracciano con ostinato orgoglio posizioni di scetticismo morale o di Realpolitik, inevitabilmente ricorrono al linguaggio dei diritti e usano termini quali «giusto» e «sbagliato», riferendosi alla secessione. Gorbaciov ha detto che l’indignazione americana per la sua opposizione alla secessione della Lituania era pura ipocrisia, dato che veniva da un paese che venera Lincoln per aver represso la secessione sudista. I québecois sostengono di avere un diritto morale a una società autonoma. Molti commentatori occidentali condannano le spinte secessioniste degli azeri e dei kirghisi, affermando che queste popolazioni vogliono l’autonomia per poter liberamente perseguitare gli armeni e gli altri.

La questione non è se il dibattito intorno alla secessione avrà luogo entro termini morali, ma piuttosto se può essere sviluppato un quadro morale coerente e illuminante che consenta di cogliere i reali problemi connessi alla secessione. La vera questione morale, secondo noi, è che il potere non si delega; lo si esercita in proprio. Ogni popolo deve proclamare la sua sovranità, nominare un’assemblea e organizzarsi autonomamente.

Anche Gianfranco Miglio sosteneva che la presenza di un ben fondato «diritto di secessione», nel corpo aggiornato del diritto pubblico e della morale politica generale, diventa – in altre parole – garanzia di stabilità e di non reversibilità di tutte le Costituzioni federali del nostro tempo. Il diritto alla «diversità» e al «pluralismo» nelle istituzioni (anche se costa sacrifici) non può più essere negato, senza innescare il ricorso al rimedio ultimo, cioè alla «secessione».

Infine la democrazia consiste nel: coinvolgere nella decisione chi è coinvolto dalle conseguenze della decisione stessa. In questo modo se e quando si riesce a trovare il massimo consenso, più probabilmente (sebbene non certamente…) quello è più vicino al “bene collettivo”. Il bene collettivo non è mai facile da identificarsi. Che sia quello del “massimo vantaggio aggregato” lo si vede solo poi, solo in seguito: nel tempo.

 

 

 

 

 

 

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