Parlare di libertà del Nord vuol dire anche avere memoria storica. E vuol dire quindi ricordare quanto avvenne a Pontida nel pieno del successo del Carroccio di lotta degli anni ’90. Riproponiamo, anche se ci saranno lettori che storceranno il naso, un servizio da Pontida, ma dalla Pontida socialista di Craxi, che andò nel monastero per una sorta di controproposta al Bossi ruggente di quel palco poco lontano.
Vi si troverà un decalogo federalista, inattuato ovviamente. Ma anche un messaggio politico attuale che dice, più o meno questo: il patto di Pontida ebbe successo perché fu un’alleanza tra leghe, tra diversi territori, tra diverse prospettive. L’unità, non dell’Italia, ma l’unità di intenti, è ciò che manca per scardinare Roma.
Oggi, ha senso più che mai, fatta la tara sul decalogo socialista e anche la sua retorica, concentrarsi sul senso di unità di intenti per raggiungere un comune obiettivo. Quello che manca e quello su cui va costruito un fronte culturale, innanzitutto, sui contenuti della libertà, a partire dalla comunicazione prima ancora che dalla politica. Aggregare sulle idee ed essere “ecumenici”: è tanto necessario quanto più fuori casa si sente solo parlare di 80 euro e di patti del Nazareno o di San Martino. Non esiste solo questo.
dall’archivio di Repubblica, di Leonardo Coen – PONTIDA. A mezzogiorno in punto, mentre le campane dell’ abbazia benedettina di san Giacomo suonano l’ Angelus, in una saletta messa a disposizione dal priore don Giustino Farnedi, Bettino Craxi comincia a parlare. Smagrito, un elegante completo grigio fumo di Londra e una cravatta rosso cupo, saluta i sindaci socialisti di Roma, Franco Carraro; di Napoli, Lezzi; di Milano, il cognato Paolo Pillitteri; il segretario regionale Moroni, il vicepresidente della Regione Lombardia, Ugo Finetti, e il vicesegretario del Psi, Giuliano Amato. Ci sono anche il ministro Carlo Tognoli, Ugo Intini, Sabino Acquaviva e Giusy La Ganga. Craxi tiene in mano quattro fogli dattiloscritti. L’ intestazione è molto solenne: dichiarazione di Pontida del 3 marzo 1990. Nelle intenzioni di Craxi si tratta proprio di un documento fondamentale, l’ arma giusta per sfondare le linee delle prossime elezioni amministrative.
Federalismo a trazione integrale
E’ il decalogo del Psi per la rifondazione dell’ autonomia regionale, nell’ambito di uno Stato dotato di nuovi assetti istituzionali. Uno Stato di tipo federativo, dove le Regioni siano dotate di maggior forza e di più sicura autonomia perché si possa attuare il cambiamento che noi caldeggiamo per la forma di governo statale. Il passaggio ad una Repubblica di tipo presidenziale avrà una carica realmente innovativa e potrà esplicare senza squilibri i suoi effetti positivi solo in un contesto di efficace decentramento, ha premesso Craxi. Insomma, è ormai tempo di voltar pagina, di rinnovare lo strumento del governo locale, vittima di uno Stato sempre più burocratico e centralista. Bando agli indugi, esorta Craxi. La proposta del partito socialista, o meglio, il programma politico evocato dalla dichiarazione di Pontida è schematico. Più che risposte pone delle condizioni.
Le condizioni allo Stato
Come quella del primo punto: Chiediamo che siano conferite alle Regioni nuove e più ampie competenze adeguandone la struttura alla società del nostro tempo, riscrivendo l’ articolo 117 della Costituzione. Consentendo così alla cultura, alle potenzialità, ai valori sociali e morali di ciascuna comunità regionale di trovare le migliori risposte attraverso le istituzioni. Corollario di tutto ciò, l’ indispensabile autonomia finanziaria perorata nel secondo dei punti programmatici, supporto necessario di responsabilità che le Regioni non rifiutano ma non possono esercitare, e premessa necessaria perché i cittadini di ciascuna Regione possano avere un più diretto controllo sulle risorse con cui concorrono al finanziamento dei pubblici servizi. Craxi e il Psi ben sanno che per ottenere reale autonomia non soltanto si devono districare le funzioni amministrative regionali da quelle dello Stato, ma si deve fortemente esigere, ed ottenere, che lo Stato finisca dove comincia l’ azione delle Regioni e degli enti minori. Guai a ricalcare i vecchi schemi. Quelli delle cosiddette vie della legislazione speciale e di emergenza che, in nome dei terremoti, calamità e urgenze sociali, ha sottoposto parti crescenti del territorio a ordinamenti derogatori, che da un lato hanno fatto affluire risorse, ma dall’ altro hanno sovente cancellato autonomia, responsabilità, trasparenze. Salvi i progetti di comprovato interesse nazionale, l’ inversione di tendenza va avviata anche nel Mezzogiorno, enuncia il quarto punto di questo decalogo socialista del buon governo. Quindi (punto 5), ridurre drasticamente e sostituire ove necessario con le sedi giurisdizionali, i controlli amministrativi, fonti di distorsioni burocratiche e talvolta anche di faziosità. Non bisogna perder tempo, ora che l’ appuntamento col mercato unico dei beni e dei servizi è alle porte: l’ Europa del 1992, ha spiegato Craxi, esalterà insieme al valore competitivo delle imprese, il tessuto di servizi e di interventi affidati all’ autorità di ciascuna Regione. Le quali, assieme agli enti locali, sono al massimo stazioni, a volte persino secondarie, di vicende procedimentali che le attraversano e che hanno bisogno per concludersi di assensi e sanzioni centrali.
Troppo dipendenti da Roma
La dipendenza dallo Stato riduce fortemente, nei fatti, l’ autonomia sbandierata dalle dichiarazioni di principio. Uno stato di cose sempre più insoddisfacente, ha detto Craxi, inaccettabile e fonte di tanti disagi per i cittadini. Occorre cambiare, occorre farlo con tempestività e, se mi è consentito dirlo, con decisione. Regioni più autonome, più efficienti servono non solo al complesso della nazione ma anche all’ Europa che sta per nascere – ha sottolineato con una certa enfasi Craxi, quasi scandendo le parole successive: Servono alle politiche riformatrici degli anni Novanta, servono ai nuovi assetti istituzionali di cui da tempo è necessario dotare lo Stato. Per questo, il Psi chiede (punto 6) che sia recuperato il ruolo della Regione, rompendo i fili di quel centralismo statualistico, che imbrigliano e a volte prevengono le autonome potenzialità delle collettività regionali e locali. Basta modificare la stessa forma di governo delle Regioni, basta modificarne gli assetti organizzativi. Tutto in funzione dei bisogni dei cittadini. Eravamo soli a parlare di riforme istituzionali – dirà più tardi l’ ex presidente del Consiglio – vedremo chi saranno adesso i nostri compagni di strada. Noi non abbiamo preclusioni….
Per cambiare serve l’unità… politica
Per cambiare lo Stato, per modificare la Costituzione si deve cercare l’ unità. Soprattutto a livello locale, fa capire Craxi. La scelta di Pontida non è stata casuale. Anzi. Una sfida aperta a chi reclama una malintesa autonomia che sfocia in sterile separatismo. Proprio qui, così vuole la tradizione, il 7 aprile del 1167 avvenne lo storico giuramento di Pontida dei Comuni lombardi che fecero Lega per non dar tregua al Barbarossa. Con plateale riferimento alla più recente Lega Lombarda che a Pontida nelle ultime elezioni europee ebbe 260 voti, il 16 per cento e che promette di sottrarre voti ai partiti di governo. Già. Perché fuori, ci sono quelli della Lega Lombarda che manifestano contro il summit socialista: per essi, una provocazione. Sbandierano cartelli, Salutiamo un incontro di tipo mafia si legge, Craxi torna a Messina. A tornare non ci penso affatto, ha commentato Craxi, visto che sono nato a Milano, sono lombardo di padre siciliano. Il vanto di Milano è che è una città che ospita cittadini di cento città diverse. Quel cartello me par propri una stupidada. Le cose serie sono altre, stanno nei difficili rapporti con gli alleati di governo, a Roma, c’ è una situazione confusa, dalla quale si deve uscire. Abbiamo posto il problema di un chiarimento, penso che lo otterremo. Se non lo otterremo, prenderemo le nostre decisioni. Poi, ha salutato tutti e si è infilato nel monastero per un piatto di risotto allo champagne, un arrosto di coniglio e antipasti.
dal nostro inviato LEONARDO COEN
da la repubblica del 4 marzo 1990