La politica smantella le competenze. I cittadini votano il vuoto

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di STEFANIA PIAZZO – “La necessità di un’alleanza tra discipline scientifiche e umanistiche è un tema che riemerge puntuale nel dibattito pubblico nei momenti di grande cambiamento sociale e democratico. È un obiettivo ricercato da oltre un secolo e che – con l’impegno di ciascuno – le future generazioni potrebbero veder realizzato”. Fermi qui…. Sono rimasta folgorata dalla lettura di questa appassionante analisi apparsa sul Sole 24 Ore dei giorni scorsi.

Il titolo è perfetto. “Competenze sotto attacco”, e lo firmano quattro docenti universitari.

Qui il link per una lettura integrale: https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2019-05-27/competenze-sotto-attacco-090359.shtml?uuid=ACcH17D

Su cosa è costruita l’analisi? Sul fatto che sapere, saper fare, saper dimostrare e argomentare attraverso la scienza, attraverso la cultura umanistica, le competenze di analisi dei fatti, della storia, siano via via smantellate dalla politica. Anziché usare “i tecnici” per fare una buona politica, per scrivere leggi per il bene comune, la politica preferisce ripercorrere la magia, la delegittimazione della scienza, l’emarginazione dello studio della storia (non l’hanno anche eliminata dalla prova di maturità?). Gli esempi? Gli ogm, il caso Stamina, i vaccini, la gestione delle migrazioni, del diverso, il negare i cambiamenti climatici… l’esplosione delle fake news che oscurano la fatica di cercare la verità in un mestiere come il giornalismo visto come il male assoluto…

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“Nel 1959, C. P. Snow, nel suo celebre The Two Cultures and the Scientific Revolution si interrogava su come poter regolare i rapporti di forza tra i due ambiti della conoscenza umana nelle istituzioni e nella politica britannica e americana, da poco uscite dal Secondo conflitto mondiale e già imperniate nella logica della Guerra fredda. – si legge nel servizio -. I progressi della scienza e della tecnologia avevano prodotto e messo a disposizione molti dei più sofisticati strumenti di difesa e le conoscenze che avevano permesso di migliorare la qualità della vita dei cittadini in Occidente. Eppure, ragionava Snow, chi nelle istituzioni prendeva le più importanti decisioni politiche aveva scarsa dimestichezza, se non indifferenza o scherno, nei confronti della scienza e del suo metodo. La conclusione suggerita dallo scienziato era di bilanciare questo divario facendo aumentare la quota di scienziati tra i decisori politici e integrando le rispettive conoscenze verso una futura alleanza”.

Oggi possiamo chiederci: chi occupa i posti delle decisioni nelle commissioni ministeriali o tecniche in cui si valutano i rischi? Sono tutti geologi? Magari…

Ma ecco la parte che personalmente mi scalda di più il cuore. Leggiamo infatti che “Cinquant’anni dopo Snow, J. Kagan in Le tre culture, Scienze naturali, scienze sociali e discipline umanistiche nel XXI secolo (2009) ha aggiunto una terza cultura a quelle identificate da Snow: le scienze sociali. Esse s’interessano, come le humanities, di società, storia e politica, ma lo fanno utilizzando i metodi di controllo delle scienze naturali: ipotesi, osservazione, misurazione, test e (sempre di più) esperimenti. (…) anche le discipline sociali, cercando la verità dei fatti, possono fornire spunti preziosi ai decisori politici, illuminando i nessi causali fra i fenomeni sociali, economici e istituzionali e, dunque, favorendo l’esercizio della responsabilità nei confronti delle conseguenze delle decisioni politiche”.

Chi fa analisi, chi propone una lettura più approfondita, una lettura anche storica degli avvenimenti, viene visto come un fardello inutile, una presenza pesante e polverosa, poiché non produce slogan ma obbliga a ragionare e a produrre idee.

“Oggi, molti osservatori ritengono che l’Occidente stia vivendo una nuova crisi di alcuni dei suoi valori democratici, tra cui un pericoloso ritorno dell’anti-intellettualismo. Tra i saperi sotto attacco c’è la scienza (…). Questa situazione ha lasciato spazio a veri e propri deragliamenti dai binari della scienza: (…). Questo fenomeno è il frutto avvelenato della cosiddetta “disintermediazione”, ovvero la sfiducia (distrust) – per fortuna limitata a una piccola ma molto “rumorosa” parte della popolazione – per le competenze e gli esperti (…)”.

Parole da incidere a fuoco: “Criticare i vaccini sostenendo che siano pericolosi o superflui, contestare i dati sull’efficacia degli Ogm o negare che il cambiamento climatico sia connesso all’impatto umano significa infatti non prestare adeguato interesse (o peggio nuocere) alla salute dei cittadini, erodere i loro diritti e le loro risorse. Significa minare la barriera che la modernità ha faticosamente costruito contro falsità, inganni e nascondimenti: la scienza, appunto”. Neppure il Medioevo fece tali danni.

“È in questo problematico contesto che si sta consolidando la “post-verità” (post-truth), che nel 2016 l’OxfordDictionary definiva come «circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti, nella formazione della pubblica opinione, rispetto al richiamo alle emozioni e alle convinzioni personali». Ed è nel momento in cui la democrazia fibrilla che la politica tende a sbarazzarsi della forza dei dati e delle competenze, perché rappresentano l’argine a un decisionismo di tipo dispotico”.

E il cittadino, cosa vota? Come può distinguere i fatti dalle opinioni? Se la scienza è relativa, se la storia è relativa, se spiegare con fatica i fatti è relativo, se è la politica per suoi porci comodi ad abbreviare e semplificare le scelte e le risposte, come si può avere un elettore consapevole? Smantellate le competenze, si porta il popolo un po’ dove si vuole. E non è quello che sta accadendo?

“Le discipline umanistiche – e io ci aggiungo il giornalismo, come scienza dei fatti, ndr -, infine, possono offrire l’enorme forza rappresentata dalla conoscenza dell’esperienza storica, dallo studio di quella varietà di fattori (economici, sociali, culturali) che hanno portato popoli e civiltà verso le catastrofi o la prosperità. In altre parole, esse gettano luce sul significato dei valori, sulla loro reciproca compatibilità(…)”.

E chiude il servizio ricordando come diceva nel  Medioevo Bernardo di Chartres, che siamo “nani sulle spalle di giganti”. Oggi siamo nani sulle spalle di giganti della povertà culturale che primeggia in politica.

Il servizio è stato scritto da: Elena Cattaneo, Università Statale di Milano, Senatore a vita; Maurizio Ferrera, Università statale di Milano; Andrea Grignolio, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano, ITB-CNR; Marco Muzi Falconi, Università Statale di Milano
Gli autori sono i promotori dell’iniziativa “Essere cittadini tra conoscenza, competenze e decisione pubblica” dell’Università Statale di Milano.
I contenuti disponibili sul Unistem.it

 

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