La ministra senza laurea, il paradigma della paralisi della scuola

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di SERGIO BIANCHINI –   La penosa vicenda lella simil laurea della nuova ministra dell’istruzione è l’ultimo anello di una catena lunghissima di vicende negative e fallimentari.

Si assiste al corto circuito di un dibattito nel quale nessuno riesce a fare davvero una sintesi costruttiva, operativa. E questo è la conseguenza di più di trentanni di non governo della scuola principalmente da parte ministeriale.

La mancanza di una direzione precisa e puntuale del ministero nelle faccende scolastiche ha generato il caos dove tutti dicono qualcosa magari di vero ma l’insieme peggiora continuamente.

La scuola è stata uno dei principali teatri dello scontro ideologico senza fine che il paese ha attraversato e di cui ormai è nauseato.

Dibattito e scontro senza fine: esattamente il contrario di ciò che la scuola dovrebbe essere. La scuola, dovrebbe trasmettere ai giovani la sapienza e la saggezza delle generazioni precedenti. Sapienza e  aggezza condivise dalla maggioranza della comunità come dovrebbe avvenire anche per la costituzione.

Questo almeno in una democrazia, dove non dovrebbe esistere una fazione prepotente ed avventurosa che cerchi con la scuola di creare un “uomo nuovo” funzionale al proprio potere.

Il nostro guaio è che da più di trenta anni ci troviamo in una situazione di quasi guerra civile e quindi ogni questione, ogni formulazione sia generale che specifica, ogni procedura organizzativa genera scontri interminabili e spossanti.

Oggi nessuno se la sente più di andare a gestire il ministero della pubblica istruzione. Il sindacato è diventato, forse persino suo malgrado, l’unico punto di riferimento del personale della scuola. E la nomina attuale di una sindacalista al ministero è l’esplicitazione aperta e chiara di chi ormai da decenni domina davvero nella scuola.

Ma la crisi economica e quella della finanza pubblica hanno tagliato le gambe a qualunque ipotesi sostanziosa di cambiamento dello stato giuridico e delle retribuzioni del personale per cui il sindacato è ormai solo la valvola di sfogo dell’insoddisfazione generale.

Non vedo all’orizzonte nessuna personalità, politica o intellettuale,  capace di fare un’analisi vera della crisi della scuola e proporre delle soluzioni organizzative concrete di breve e medio periodo diverse dal galleggiamento.

La situazione è talmente e chiaramente ingestibile da decenni che perfino le regioni hanno da sempre evitato di usare il titolo quinto della costituzione per ottenere per sè un ruolo maggiore, che proprio il titolo quinto attribuisce. D’altra parte la grandiosa riorganizzazione di cui tutti sentono un disperato bisogno non può essere fatta sulla base del lancio di nuove parole d’ordine generale. Ne cito due lessicalmente affascinanti proprio per far capire che comunque non è sul quel livello che dobbiamo inoltrarci. Due slogan lessicalmente stimolanti come “Scuola non più auditorium ma laboratorium”, oppure “non solo scuola di tutti ma di ciascuno”. Sono frasi e immagini troppo vaghe, anche se cariche di profumi organizzativi. Qui ci mancano migliaia di persone disposte a sporcarsi le mani, a fare concorsi rapidi, bloccare la girandola dei trasferimenti, stabilire con precisione le competenze da perseguire davvero per ogni annualità, fare davvero il lavoro mirato di recupero e di orientamento degli alunni e delle famiglie, esaminare i materiali didattici utilizzati a partire dai libri di testo. E su tutto questo accendere dibattiti veri e provvedimenti organizzativi rapidi e continui nel corpo docente a tutti i livelli.

Serve una scossa dove la cultura non sia “il petalo sul letamaio” ma la guida per idee vere, idee obiettivo, idee gestione. Idee capaci di incidere subito sul funzionamento del sistema senza traumi ma anzi con ossigenazioni salutari e gradevoli.

 

 

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