La mensa dei poveri e i corrotti che non fanno più notizia. E’ il ritmo politico…

tribunale

di STEFANIA PIAZZO – Non fa notizia un politico che ruba. Anche se è un presunto ladro con tanto di antimafia che indaga. La “retata” della procura di Milano verso politici e amministratori lombardi che chiamavano “mensa dei poveri” il ristorante dove si trovavano, colpisce e indigna ma il Paese pensa ad altro. E io, con buona parte del Paese, penso ad arrivare a fine mese.

Ho avuto la fortuna di essere a Milano negli anni di Mani pulite. Era un’altra città e i marciapiedi trepidavano nell’attesa di una rivoluzione. Stava cadendo un impero, un “tutti lo sapevano ma nessuno faceva nulla” era sostituito da qualcosa che prometteva il lavaggio nella candeggina di tutta la classe politica.

Fu una strage di arresti. Segnò un’epoca, e intrise di nuovi lemmi il linguaggio comune, illudendoci che quelli dopo sarebbero stati meglio. Via l’élite di ladroni, avanti o popolo la borghesia del ceto medio e i lumbard alla loro prima crociata. Come andò? Come è andata… E’ andata che quelli nati per fare la rivoluzione hanno preferito morire ricchi e al potere. E quelli che erano ricchi, e rifatti, o rifatte,  sono rimasti al centro. Al centro di un buco perché oggi il centro è un buco nero. Gli altri, che aspettavano un Paese federale, persino la secessione, o magari la devolution, sono rimasti col culo per terra. La sinistra ha smesso nel frattempo di fare la sinistra e la destra, grazie a Salvini, ora ha un leader che fa da grande predatore e pure da pesce spazzino.

Nel 1994, in pieno furore berlusconiano, il settimanale Cuore uscì con una cassetta (per i più giovani, la musica era incisa su un nastro, ndr) dal Titolo Forza Italia. Conteneva dei brani del gruppo musicale Mau Mau e uno in particolare, Ritmo politico, mi colpì a fondo.

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Era come prevedibile un testo antibiscione, in Berlusconi si leggeva  e vedeva tutto il male possibile. Per 20 anni la sinistra ha cavalcato questo fronte come ragione sociale, fino a uscirne a pezzi. Ma il testo, seppur ideologico e intriso di un odio viscerale verso tutto quanto era generato da Arcore, considerato unico motore di ogni nefandezza umana, dalla corruzione alla collusione, ha degli spunti ancora oggi di amara riflessione.

Laddove dice…. “E’ il gioco politico di una bandiera che cambia di uno slogan che cambia di un impegno che cambia”.

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Cosa vi fa pensare? A quale bandiera che cambia, oggi? A quale slogan rivoltato come un calzino, a quale nuovo impegno…?

E il brano continua: ma come ha fatto quel cavaliere a rimanere senza macchia…? Come resteranno oggi senza macchia i nostri nuovi eroi?

Il Cav usava le tv. Oggi gli eroi digital-politici usano i social. Falsamente sociali e di tutti, perché la macchina che li dirige su noi costa e ha un esercito di ingegneri e algoritmisti che intercettano le nostre voglie e le nostre paure. Ieri c’erano le televendite, oggi le dirette facebook ci vendono i prodotti politici di cui pensiamo  aver bisogno per difenderci dal male.

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Tutto cambia. Uomini nuovi…

Se oggi potessi fare un’intervista, giuro che interpellerei Licio Gelli e gli chiederei: Maestro, ma lei cosa ne pensa del sovranismo?

Il brano poi proseguiva rabbioso così:

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Spazio occupato, cari Mau Mau, anzi, occupatissimo.

Inquietante la chiusa verso la fine del pezzo…. “Se l’etere non basta ad annullare la coscienza ai vecchi metodi ci si potrebbe affidare al manganello che raddrizza e fa marciare”.

Un  testo greve, che però non si scorda mai. L’Italia dove sta andando, ora?

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Quello che non tutti sanno è che l’allora editore Alessandro Patelli del settimanale della Lega, “Lega Nord – Italia Federale” (la nonna de la Padania), chiese ad un certo punto a me e alla collega Cristina Malaguti, di realizzare un mensile, di formato agevole, per approfondimenti. Con entusiasmo ci mettemmo a lavorarci. Uscì in allegato per un paio d’anni… La testata? Ritmo politico, of course!

Questa la copertina del primo storico numero. Ne sono ancora fiera.

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