Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Max Vidori
Esiste un “comandamento” in sanità che si era andato rafforzando negli scorsi anni: la collaborazione del paziente nel processo di cura.
Si sono progressivamente superati tabù, paure, ignoranza e disinteresse, per raggiungere quell’alleanza terapeutica che vedeva il sanitario spiegare (i più bravi anche con parole semplici!) la diagnosi per quanto grave, la terapia per quanto impegnativa, la prognosi per quanto infausta.
L’emergenza Covid è stata gestita dimenticando tutto ciò e, se in piccola parte era ammissibile all’inizio dell’epidemia, questa sottrazione è decisione e responsabilità tutti i sanitari che hanno avallato questa sciagura.
Il fatto che le strategie sanitarie debbano riguardare tutta la società non può esimere dall’obbligo deontologico di raggiungere la consapevolezza di tutti gli interessati. Banale, per non dire autolesionistico, giocare la carta dell’obbligo.
E’ come se si fosse attivato un gigantesco TSO (trattamento sanitario obbligatorio) sinora riservato a pochissimi casi, solitamente psichiatrici, che richiedevano l’autorizzazione congiunta di medico e Sindaco del comune di residenza del paziente! E perché questa tutela, questa garanzia? Perchè il TSO è una pratica pericolosa, ancor prima che una violazione della libertà di cura.
L’anomalia è che questo pericolo lo stanno correndo non tanto i vaccinati, che sono esposti ai rischi di un’unica terapia invero poco sperimentata, ma coloro che non sono stati raggiunti da questa opportunità. Tutti coloro che per scarsa competenza o per scelta ideologica o per spirito da “bastian contrario” hanno deciso di non vaccinarsi. Coloro che si sono progressivamente rinforzati nella convinzione man mano che sono aumentati gli obblighi e lo stigma sociale, in una disfunzionale polarizzazione delle posizioni. Coloro che, milioni, sono parte consistente della società e che non possono essere lasciati indietro dalle politiche sanitarie poiché questa opzione non è contemplabile: si rischiano impennate dei numeri di morti ovvero esattamente il contrario dello scopo prefisso!
Perseguire obiettivi di salute pubblica senza tenere conto di queste dinamiche, ben note, significa accettare scientificamente i “danni collaterali” e ritenerli quindi accettabili. Io non riesco a condividere la scelta che è stata fatta. Sono rattristato dal fatto che colleghi sanitari chiamati a decidere abbiano sostanzialmente optato per un laconico “cazzi loro”, invece di tenere aperta la porta del dialogo: non nel mio nome.
Ogni vita conta sempre, in questo caso più che mai, perché solo tutti insieme potremo uscirne.
Massimo Vidori, operatore sanitario.