La Lega sfonda al Sud, perde l’8% nel NordEst. Il populismo, The Guardian, e la comunicazione efficace. L’alternativa è pronta?

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di STEFANIA PIAZZO – Non è una sorpresa. La Lega, spara il Corriere, ha perso l’8% dei consensi nel Nordest. Gli Stati, le nazioni, non sono eterne. Figuriamoci i partiti. Le percentuali bulgare oltre il 30%, è vero, ricordano la Democrazia cristiana. Ma quello era un partito fatto anche da pensatori, da statisti, gente che ha ricostruito un paese, nel bene e nel male. Politici che sapevano parlare, scrivere, e che erano nel loro insieme una èlite preparata. Come il Partito comunista. Come i socialisti. Esisteva una classe dirigente, con i propri giornali di partito, con fondazioni. Avevano solide basi nella comunicazione, non ci sono storie. Giravano tanti soldi, perché la politica non si fa col conto corrente vuoto, ma girano anche ora. E’ solo che a noi fanno intendere che loro siano poveri in canna. E che i soldi  che rubano a noi cittadini,  sia per colpa dell’Europa. Non per lo Stato centrale, non per la burocrazia, non per l’illegalità che spacca in due il paese, dall’evasione ai falsari pensionistici, invalidanti, braccianti agricoli e sudisteria cantante. Mentre al Nord, imprenditori nordisti e grandi catene ci marciano sul lavoro a basso costo, sullo sfruttamento degli stagisti, sul “se non accetti fuori c’è la coda”. Quindi, non so chi vinca la coppa dello sfruttamento. Al Sud sfruttano lo Stato. Al Nord sfruttano chi dallo Stato riceve il due di picche.

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IL PARTITO DEL SUD

La Lega, si diceva, mostra i primi (primi?) segni di stanchezza. Al Nord. Al Sud invece l’affare diventa grosso. Scrive Francesco Verderami sul Corriere: ” Lo studio, che da giorni passa di mano in mano anche tra gli «alleati» di centrodestra, suddivide il territorio nazionale nelle circoscrizioni con cui si andrà alle urne in maggio per l’Europarlamento. Al fixing odierno, lo scenario prefigura per il titolare dell’Interno un’avanzata travolgente: nelle regioni del Centro — che comprendono il Lazio e la Toscana dove il trend è in forte ascesa — il dato delle Politiche (15,7%) verrebbe raddoppiato (29%); nel Mezzogiorno addirittura triplicato (dal 6,2 al 18%); e così di fatto nelle Isole (dal 6,6 al 16%)”.

Ma il dato politico riguarda il Nord. Perché è il Nord il fulcro della Lega ed è da Milano che passa la politica che decide i cambiamenti.

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LA FLESSIONE AL NORD

“La flessione nel Settentrione è evidente, in alcuni casi marcata, ma sta dentro una progressione che non ha eguali, se è vero che — numeri alla mano — oltre la «linea gotica» il Carroccio fluttua tra il 30 e il 40% nelle intenzioni di voto. Non c’è dubbio che gli avversari di Salvini vorrebbero avere i suoi problemi, però il dato emerso da un sondaggio riservato non è passato inosservato ai governatori leghisti, preoccupati all’idea che non sia un assestamento ma possa preludere a un’inversione di tendenza”.

Lo studio, infatti, fa lievitare la Lega come partito del Sud. E’ il partito del Mezzogiorno: “Nelle regioni del Centro — che comprendono il Lazio e la Toscana dove il trend è in forte ascesa — il dato delle Politiche (15,7%) verrebbe raddoppiato (29%); nel Mezzogiorno addirittura triplicato (dal 6,2 al 18%); e così di fatto nelle Isole (dal 6,6 al 16%)”. Ma… la notizia non lo fa questo successo meridionale. E neppure che la Lega cresca come scrive il dossier “riservato”. “Nella circoscrizione Lombardia-Piemonte-Liguria il loro partito (dei governatori del centrodestra, ndr)  ottenne alle Politiche il 25,7%, mentre oggi è valutato al 42%. Nell’area Veneto-Trentino Alto Adige-Friuli Venezia Giulia-Emilia Romagna, si passerebbe dal 25,5% del 4 marzo al 40,1%. Manco in Bulgaria. Il problema è che tra il rilevamento di settembre e quello di dicembre la Lega nel Nord-Ovest ha perso 3 punti e nel Nord-Est 8 punti e mezzo. Settembre è il mese in cui è iniziato l’iter della manovra, il mese delle feste sul balcone di Palazzo Chigi, il mese dei «numerini» e della sfida all’euroburocrazia. Da allora — secondo il sondaggio — il 3% degli elettori già orientati a sostenere il Carroccio ha deciso che non lo voterà più. Sarà pur vero che (quasi) tutti questi consensi potenziali finiscono per assenza di alternativa nell’astensionismo, oggi accreditato del 35%”.

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LA CREPA SI ALLARGA

Fatta la tara di tutto il successo, dove c’è l’economia, il lavoro, dove si producono i due terzi del Pil nazionale, la Lega perde colpi. Una crepa nel muro fa passare la prima infiltrazione di delusione, di astensione. Di distacco dalla politica. Il Corriere dice: finiranno, quei consensi, nel calderone dell’astensione.
E’ impressionante infine il dato del 49% del sondaggio, è la percentuale di chi, prima di ridare la fiducia alla Lega, vuole vedere se le promesse populiste, tasse, pensioni, lavoro, saranno rispettate, realizzate. La metà dei consensi flutta davanti al proprio balcone.

 

IL MUGUGNO DEL NORD

Ne scriveva ancora il Corriere, sul “mugugno del Nord”. Tanto che il sindaco di Milano, aveva affermato al quotidiano a fine novembre: si deve raccogliere con urgenza questa inquietudine.
Le braci scottano, in particolare, sul fronte del referendum sull’autonomia diventato una barzelletta cosmica. Tanto che la gente lo ha già dimenticato. Basta non parlarne e finisce in cantina. Ora addirittura il ministro Conte allunga la minestra della ipotetica trattativa al 15 febbraio, “una frase simile – scrive Verderami –  quella con cui al Senato ha cercato di camuffare la resa alla Commissione europea sulla manovra, dicendo che il rapporto deficit-Pil sarebbe stato «circa del 2,04%». Finora Salvini ha saputo destreggiarsi nelle relazioni di governo con Di Maio e nella gestione delle due «Leghe»: quella vecchia (stretta alle realtà imprenditoriali del Nord), e quella nuova (imperniata sul sovranismo e sulle emergenze sociali). Così il suo partito sta assorbendo il centrodestra e conquistando pezzi di grillismo. Così sta diventando un’idrovora di consensi potenziali. Che sono cambiali da portare ancora all’incasso”.
Cioè un’area come quella di Bacoli e dei Campi Flegrei su cui la Lega è seduta sbandierando gli alti consensi.

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MAL DI PANCIA COSTANTE

D’altra parte le solfatare anche al Nord non mancano.
Ce li siamo dimenticati i 600 imprenditori del Nord che questa estate hanno gridato aiuto? Gi imprenditori veneti si  erano schierano contro il decreto Dignità del Governo: “Il decreto dignità, se confermato nella sua impostazione, è destinato a incidere in maniera pesantemente negativa sull’occupazione e sulle imprese. Le rigidità che esso introduce avranno il solo effetto di far perdere le occasioni di lavoro che un’economia sia pure in fragile ripresa sta creando”.

Il presidente e il vice presidente vicario di Assindustria Venetocentro, Massimo Finco e Maria Cristina Piovesana, tracciavano questa analisi davanti a 600 imprenditori del Nordest e responsabili delle risorse umane. Secondo i vertici dei Assindustria VenetoCentro, “il rischio è di azzerare una tendenza virtuosa che solo in Veneto ha visto nel primo trimestre 2018 un saldo positivo di 53.200 nuovi posti di lavoro e la crescita dei contratti a tempo indeterminato (29.500, +26%), specie per effetto della transizione dai contratti a termine”.

Poi è arrivato il reddito di cittadinanza, l’ecotassa sui piccoli suv famigliari, la flat tax sparita, le pensioni a quota 104 peggio della Fornero, lo spread. Non per dire, ma la Lombardia ha un rating superiore a quello dello Stato italiano. E il Veneto non è da meno.
Qualche settimana fa Salvini scriveva una lettera ad alcuni quotidiani del Nord per dire: “Non vi dimentico, manterrò le promesse”. Ora, il problema sono le premesse. Qual è l’opposizione o l’alternativa al Nord alla Lega che arretra, sprofondando in percentuali bulgare altrove? Qual è la classe dirigente in formazione per aggredire il bottino elettorale, affinché quel consenso non finisca nell’astensione?

 

 

 

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THE GUARDIAN INTERPELLA IL DIRETTORE DE LINDIPENDENZA

Lunedì 17 dicembre il quotidiano internazionale The Guardian, pubblicava un report sul populismo e sulle sue strategie di comunicazione mettendo a confronto il cannibalismo sui social di Matteo Salvini, e quello del leader populista indiano, Narendra Modi. Due diversi stili per catturare il consenso e identificarsi in un lungo processo di avvicinamento, al popolo. Parlare, mangiare, pensare come l’uomo qualunque incazzato col sistema. Angela Giuffrida, corrispondente del The Guardian da Roma, mi aveva intervistata per comprendere chi fosse Salvini il giornalista della Padania, diventato professionista curando poche ore al giorno la pagina delle lettere, per poi avere tempo di seguire il partito e infine la radio. Essere interpellati da una testata internazionale indipendente che ritiene alta la reputazione di ciò che si afferma, non è cosa da tutti i giorni, e conferma l’adagio “nemo profheta in patria”. A Milano non si conta, a Londra sì.

(https://www.theguardian.com/world/2018/dec/17/populist-social-media-playbook-who-is-best-facebook-twitter-instagram-matteo-salvini-narendra-modi)

Giuffrida voleva comprendere di più sulla svolta a destra, se il leader della Lega fosse davvero di destra o un politico che cavalca le opportunità e le fa proprie, prima degli altri o sottraendole agli altri. Salvini, è stato da sempre un comunicatore, ma non c’è solo facebook e gli investimenti da centinaia di migliaia di euro dietro la crescita del consenso. C’è anche l’abbandono del federalismo, della politica per le autonomie sostituite dal più facile andare contro il sistema, contro l’Europa, contro il mondo del male. Creata la piattaforma della comunicazione, la pesca è stata facile. Ora il radicamento nel centrosud dell’Italia smarca la Lega dal Nord. Gli imprenditori, i lavoratori delusi, non se ne faranno nulla di facebook se le tasse crescono e il lavoro manca.

Come sempre, è una questione di politica, di cultura politica e di controinformazione.

 

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