Nel decreto che il Senato si appresta ad approvare non c’è nessuna riforma strutturale del sistema previdenziale: il decretone lascia intatte le regole
Se ancora ce ne fosse bisogno, in questi giorni stiamo avendo l’ennesima conferma di una maggioranza senza bussola, peggio: completamente sganciata dalla realtà. È notizia di ieri che il ministro Tria avrebbe scoperto l’acqua calda affermando che se non si rispettano i patti “nessuno verrà mai a investire in Italia”. Meglio tardi che mai. Peccato che sia proprio il governo di cui fa parte a sconfessare quotidianamente gli impegni assunti dal nostro Paese.
La riprova di un governo che vive in un universo parallelo è giunta nell’ambito della discussione al Senato sul decretone in materia di pensioni e reddito di cittadinanza. In realtà definirla discussione è un eufemismo, dato che la maggioranza si è limitata a ribadire le proprie verità senza rispondere a nessuna delle critiche di merito avanzate dal Pd.
Si sono sentite molte analisi economiche per cui la povertà degli ultimi anni non è colpa di una delle più terribili crisi economiche della storia italiana, ma dei governi a guida Pd; mentre la crescita e la fuoriuscita da quella crisi non sono meriti di quei governi, ma sono spuntate da sotto un cavolo. Si è discusso per ore di redistribuzione e lavoro, di “svolta epocale” e “abolizione della povertà”. Senza mai parlare della recessione in cui sta ripiombando il nostro Paese. Una discussione surreale.
La notizia del giorno è che la Lega ha votato la riforma Fornero con 7 anni di ritardo. Per la precisione, ci hanno provato a dire di averla cancellata. Ma nel decreto che il Senato si appresta ad approvare non c’è niente del genere, nessuna riforma strutturale del sistema previdenziale: il decretone lascia intatte le regole di quella riforma. C’è solo una lotteria temporanea che avvantaggerà qualche coorte di lavoratori maschi con redditi medio-alti, creando uno scalone assurdo tra 3 anni. Certo, la maggioranza continua a dire che l’abolirà più avanti. Ma sono ancora promesse, annunci. Non c’è niente in questo decreto. Vedremo se e quando lo faranno, con quali soldi e con quali costi per i giovani e per le persone in difficoltà.
I senatori dei 5 Stelle sono arrivati a tessere le lodi dell’assegno di ricollocazione, introdotto dal Jobs act, salvo poi apprestarsi a votare un decreto che lo toglie ai disoccupati che hanno perso un lavoro da poco, per darlo a persone in condizioni di fragilità sociale che magari non lavorano da decenni.
Il governo e la maggioranza continuano a confondere contrasto alla povertà e tutela della disoccupazione. Ma può accadere che un povero non sia occupabile e che un disoccupato non sia povero. Entrambi hanno bisogno di una garanzia del reddito e di servizi, ma diversi. Un reddito vicino al salario che hanno perso e servizi di ricollocazione per i disoccupati; un reddito più basso ma con servizi di attivazione sociale, in collaborazione col Terzo settore, per i poveri. È quello che abbiamo iniziato a fare nella scorsa legislatura, estendendo l’indennità di disoccupazione con 2,2 miliardi e creando il reddito di inclusione con 2,5 miliardi. Si può e si deve fare di più. Ma andando in quella direzione. Non creando uno strumento ibrido che dimentica i disoccupati e non aiuterà i poveri.
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