di VALTER ROVERATO – Perfino l’altro dei due “contractors” di governo l’ha capito, finalmente! “il problema è che la Lega è accecata dal potere, come Renzi”, questo avrebbe detto Di Maio al termine del consiglio dei Ministri di giovedì 4 aprile, nel quale non si è arrivati ancora a capo della norma “salva-truffati” dalle banche, una delle tante promesse dei giallo-verdi governativi che aspettano di tramutarsi in realtà, come tantissime altre. Il buon Giggino credeva di trovare man forte in Salvini e Conte per convincere il ministro Tria a firmare quel decreto per dare il via libera ai rimborsi per i risparmiatori raggirati, mentre invece si è trovato da solo, e da qui lo sfogo, con le suddette parole che i media (a proposito, italiani, non pronunciate “midia”, perché “media” è una parola latina!!!), almeno quelli non filogovernativi, riportano oggi. “I leghisti hanno l’ossessione del comando – dice ancora Giggino – non li capisco.
Mi ricordano Berlusconi e Renzi” E bravo Di Maio! Ha capito quello che noi qui sapevamo da tempo: anche la Lega è rientrata nel gioco di potere romano, si è omologata ai partiti di roma, fa il gioco di Berlusconi e Renzi, i quali, è bene ricordarlo sempre, in passato avevano stretto assieme il cosiddetto “patto del Nazareno”. Cosa si può dedurre quindi da tutto questo? Che è un fatto assodato che roma si sia “mangiata” la lega salviniana, poi l’abbia digerita ed assimilata, facendola diventare parte di quel potere romano che, quando la lega nacque “Nord”, con Bossi, voleva invece combattere (ricordate le metafore di Bossi su “roma-polo” e “roma-ulivo”? due facce della stessa medaglia, diceva). Ecco, la Lega è ufficialmente parte del sistema romano, lo ha capito perfino Di Maio, tardi ma lo ha capito, da faccia della medesima falsa medaglia quale anche lui è. Di Maio e Salvini si sono annusati e si sono riconosciuti, si potrebbe dire!
Sono tutti ingranaggi della stessa macchina romana del potere che sottomette il Veneto, ed il Nord in genere, facendosi ben oliare con il residuo fiscale che ogni anno noi lasciamo a roma, e che roma stessa redistribuisce poi a chi vuole, col reddito cosiddetto “di cittadinanza” e quota “cosiddetta 100”. D’altra parte, la Lega stessa è al governo in diverse regioni proprio con Berlusconi, il quale invece a roma fa finta di fare opposizione, mentre a livello nazionale governa con i 5 stelle, che comunque certamente non avrebbero problemi, se eventualmente dovesse essercene bisogno, a stringere un patto anche con il PD neo-zingarettiano per governare il paese, perché tanto per loro Lega, PD e Forza italia sono la stessa cosa (assieme a loro, diciamolo pure!), basta avere quella sedia sotto il sedere.
E qui io mi domando: se perfino Di Maio, da dentro la palude romana, ha capito tutto questo, come mai non lo capiamo noi qui al nord, o almeno qui in Veneto? Ci stanno scippando decine di miliardi di euro ogni anno che passa, da decenni a questa parte, e sono euro frutto del nostro lavoro, del nostro sudore quotidiano, ed anche di chi muore sul posto di lavoro, o di chi si suicida perché il lavoro lo perde, di chi si priva anche di mangiare pur di pagare imposte e tasse romane, di chi si trova costretto a lavorare per mezzi secoli prima di avere una pensione, che per lo più sarà povera. Tutti questi soldi vanno a finanziare falsi invalidi, mafie varie, tangenti, ricostruzioni pluridecennali per terremoti o inondazioni mai avviate, amici, portaborse e sedicenti tali, fondi per la sanità di regioni sprecone, fondi per “roma-capitale” piena di buche, spazzatura, topi e metropolitane ferme, e così via.
La lega italica è come tutto il resto di quella melma romana, anzi ne è parte; quella melma che, come le sabbie mobili, inesorabilmente e lentamente porta a fondo tutto quello che vi si posa sopra, e lì sopra, finora, ci siamo noi Veneti, assieme a tutto il Nord del paese produttivo e lavorativo, che per ora cerchiamo di non muoverci per non affondare di più, come si fa proprio con le sabbie mobili, ma non basta: dobbiamo invece non solo muoverci, ma muoverci talmente tanto ed efficacemente, da riuscire a spazzare via in qualche modo tutta questa palude apparentemente stantia.
Il “signor” Giuseppe Garibaldi, colui che ha voluto unire l’impossibile, e non ci è ben riuscito ancora, disse “o roma o morte”, ma noi in Veneto potremmo ben dire “a roma è morte”: o Veneti, perché non ci accorgiamo che roma ci porta a fondo? Perché non ci rendiamo conto che non possiamo farci carico per sempre anche del resto del paese immobile? Volete che ci diano l’autonomia? Siete degli illusi!!! Come camperebbero i signori romani e del resto del paese, senza i miliardi che generosamente (stupidamente) consegniamo loro ogni anno?
Mi dispiace, ma finora i Veneti sono proprio quelli che il poeta Veneto Berto Barbarani descrive nella sua celebre poesia del 1875 (!) “I va in Merica”, dalla quale traggo i seguenti versi illuminanti:
una festa, seradi a l’ostaria,
co un gran pugno batù sora la tola:
“Porca Italia” i bastiema: “andemo via!”
E i se conta in fra tuti. – In quanti sio?
Apena diese, che pol far strapasso;
el resto done co i putini in brasso,
el resto, veci e puteleti a drio.
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Drento l’Otobre, carghi de fagoti,
dopo aver dito rnal de tuti i siori,
dopo aver fusilà tri quatro goti;
co la testa sbarlota imbriagada,
i se da du struconi in tra de lori,
e tontonando i ciapa su la strada!
Praticamente si protesta, si mugugna, si fanno proclami, ma poi ci si ritrova in pochi e quindi, fra un mugugno ed un altro, ci si saluta e si torna a casa, dopo un “cicheto”. Così non va!