Germania ha piano industriale per il 2030. L’Italia non pensa a niente

GERMANIAdi STEFANIA PIAZZO – Onestamente non mi sento italiana. Troppe barriere mentali dividono questo paese dal futuro, dall’Europa. Paradossalmente, è un paese governato da giovani per restare vecchi. Secoli per decidere sulla tav. Ere geologiche per decidere sull’autonomia dei territori. L’altro giorno parlavo con un imprenditore della Brianza. E mi diceva: “Un giorno Helmut Kohl mi disse che tra tutte le regioni dell’Europa, una di quelle che più lo aveva impressionato, era la Brianza”. C’era. Appunto. Perché non si può andare avanti in eterno dentro un pendolo che oscilla pericolosamente all’indietro nella storia. Leggevo una delle ultime analisi dell’economista Giorgio Pasetto, dal titolo: E i tedeschi programmano il futuro industriale, pubblicata su lavoce.info.

E mi è montata una grande rabbia. Perché noi siamo ancora qui a discutere sulla forma di stato che dovrebbe avere l’Italia, sulle accise della guerra in Abissinia, sulla ricostruzione in Abruzzo, sulle auto euro 3 e 4, sui treni su binario unico, mentre altri pensano a come vincere e risalire dalla recessione. La Germania ha una ricetta in testa, che è la Nationale Industriestrategie 2030.

Cioè ha già programmato il futuro. Noi stiamo calcolando quota 100 e il reddito di cittadinanza. Sarebbe un errore diventare tedeschi, ma scrive correttamente Pasetto, “Il problema di creare una dimensione industriale europea competitiva a livello globale esiste. Ma la soluzione non è imporre il modello tedesco all’Europa, quanto ragionare in un’ottica europea e investire in modo massiccio sulle tecnologie strategiche”. Ne abbiamo? 

A parte la sfida cinese che guarda all’intelligenza artificiale, “nessuna impresa europea compare tra le prime venti società tecnologiche mondiali contro le undici americane e le nove cinesi. La risposta alla duplice minaccia, cinese e americana, deve venire – secondo Altmaier, ministro dell’Industria – dal rafforzamento del peso dell’industria, che dovrebbe raggiungere il 25 per cento del Pil in Germania (dall’attuale 23,4) e il 20 per cento in Europa, e da un ruolo più attivo dello stato”.

Cosa prevede il piano? Eccolo…

  • il controllo di tutti gli anelli della catena del valore, possibilmente riportandoli all’interno della Germania;
  • la difesa di ogni posto di lavoro nei settori industriali, vecchi e nuovi;
  • il rafforzamento delle Pmi, in particolare delle medie aziende più specializzate;
  • la costruzione di campioni nazionali, in quanto “le dimensioni contano” se si vuole competere con i giganti stranieri;
  • l’ingresso temporaneo, in casi estremi, dello stato nel capitale delle imprese strategiche a rischio di acquisizione estera, prevedendo la creazione di un fondo anti-scalate;
  • il ricorso, se necessario, a interventi statali per “compensare gli effetti negativi della concorrenza”, ripristinando condizioni di parità su prezzi dell’energia elettrica, importo delle imposte sulle società, contributi sociali.

La Germania dunque mette in discussione il rigorismo del no agli aiuti di Stato, apre agli aiuti temporanei all’innovazione, e altri dogmi da sfatare sulla concorrenza. La Germania non è il nemico che ci viene dipinto. Anzi, ha territori più simili alla Brianza, al Nord Est che rispetto all’Italia intera.

Ma aggiunge Pasetto:

“Il Rapporto del ministro tedesco è stato presentato mentre, contemporaneamente, a Bruxelles veniva bocciata l’ipotesi di fusione tra il colosso delle ferrovie francesi e la divisione ferroviaria della Siemens, che avrebbe creato un gruppo da 15 miliardi di fatturato destinato a competere con la cinese Crrc nel settore dei treni e dei servizi ferroviari. “Non vediamo arrivare i cinesi”: con queste parole Vestager ha dichiarato illegittima la fusione perché altererebbe la concorrenza all’interno del mercato europeo a danno dei consumatori. Sia Altmaier che il collega francese Bruno Le Maire hanno criticato la decisione, su cui per ora non possono intervenire. Ma lo scontro è rimandato al dopo-elezioni, quando i governi tedesco e francese torneranno alla carica per rivedere le norme europee in materia di concorrenza”.

In sintesi… “Occorre far crescere di più il mercato unico europeo anche in settori in cui per il momento siamo svantaggiati, attraverso la cooperazione fra i paesi dell’Unione. E soprattutto non imporre, come propone Altmaier, il modello tedesco all’Europa, ma ragionare veramente in un’ottica europea, tenendo conto delle sinergie che si possono instaurare fra gli apparati industriali dei paesi dell’Unione e impegnando l’Europa nelle grandi sfide industriali, energetiche, ambientali che hanno un impatto non solo sulle imprese, ma anche sulla vita dei cittadini. Non è proprio di questo che si sente tanto la mancanza nel Vecchio continente?”.

Ecco, come può l’Italia che contesta l’Euro, la Germania, la Francia, che produce solo politiche di controllo dell’immigrazione e nessun piano di sviluppo industriale, trovare interlocutori in Europa? Il primo atto di politica economica è il reddito di cittadinanza e la messa in discussione delle grandi opere. Come minimo, saremo il primo pasto dell’intelligenza artificiale. Lo spuntino della recessione.

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