La corruzione marchio del made in Italy. Rizzi: E’ per questo che l’autonomia non è priorità per alcuni politici

di Monica Rizzi – Le recenti notizie di cronaca nera in particolare in Lombardia, con la ‘ndrangheta indisturbata a farla da padrona non sono un fulmine a ciel sereno. Stiamo forse perdendo gli anticorpi per reagire? E’ il contesto generale di crisi e di impoverimento morale della politica che sta accelerando il quadro? Forse dobbiamo fare un passo indietro perché cose così sulla stampa italiana non ne abbiamo ancora lette. Dobbiamo andare sui media elvetici già un paio di anni fa per scoprire come ci vedeva prima degli scandali di mafia, il mondo. Non solo, cosa si scrive anche solo a casa nostra del costume tipicamente italico della corruzione. Leggiamo sul sito di Tvsvizzera.it, portale in italiano della Rsi, che “Nel campionato mondiale della corruzione Italia-Brasile è la sfida classica”. Andiamo bene.

Già questo dice tutto. Anche perché, come si legge, “Comincia con un’analogia calcistica la presentazione di Alberto Vannucci, professore di scienze politiche all’Università di Pisa e coautore del libro, “Lo Zen e l’arte della lotta alla corruzione“, scritto a quattro mani assieme al professore di politica economica all’Università di Bologna Lucio Picci”.

Materiale nostro, quindi, ma non divulgato. “In palio in questa sfida è il poco lusinghiero titolo di ” detentore del più grande scandalo di corruzione della storia”.

Da cosa è determinata l’avvincente classifica? Arresti, ministri e deputati… in manette. “I più recenti scandali lasciano ipotizzare che, dai tempi di Tangentopoli, le cose non siano cambiate poi tanto. Si è ad esempio sempre riscontrata la presenza di un “garante”, il cui compito è far sì che le regole non scritte di un sistema corrotto (prima fra tutte: “la tangente si paga sempre”) siano rispettate”.

Ma cosa è cambiato dagli anni ’90 ad oggi? Se prima c’erano i partiti a dividersi la torta con le grandi aziende, ora tutto è cambiato.

“La cosa più inquietante”, spiegava Vannucci alla tv svizzera, è che oggi a differenza di allora, a svolgere questa funzione sono tanti soggetti che lo fanno localmente. “Non c’è più un regolatore a livello nazionale, per cui scordiamocela un’altra Mani pulite”, afferma. Ed è quello infatti che è accaduto settimana scorsa nella bassa comasca!

Nella sua inchiesta, scrive Zeno Zoccatelli che “Nei giornali è tuttora ancora di moda parlare di 60 miliardi di euro all’anno (circa 1’000 euro per cittadino italiano).  Una cifra sexy per i media, ma “una leggenda metropolitana”, dice Vannucci.

Questa cifra è stata presentata qualche anno fa dalla Corte dei Conti ed è stata estrapolata da un’affermazione della Banca Mondiale che stimava i costi della corruzione, a livello globale, al 3% del del Pil. Per l’Italia questo significa, appunto, circa 60 miliardi. Una stima, dunque, scientificamente poco rigorosa.

Nel 2016 Picci aveva proposto un’altra cifra (a scopo puramente illustrativo date le difficoltà nel misurare questo tipo di fenomeno, un “esercizio di stile” di un ricercatore).
Aveva provato a calcolare di quanto maggiore sarebbe il reddito nazionale italiano se il suo livello di corruzione secondo l’indice di Transparency International fosse pari a quello della Germania”.

Quindi, come si può quantificare il cancro italiano che si nutre nel caos del centralismo e della burocrazia che governa?

La stima è di 585 miliardi di euro in più rispetto al reddito nazionale attuale (dell’ordine di circa 1’700 miliardi). Tanto, ma è per far capire la dimensione del fenomeno. Ma non è solo economico il danno. Le vite umane perse per la malasanità corrotta, per il materiale difettoso acquistato per sano, che prezzo hanno? L’effetto delle tangenti in edilizia quando un edificio crolla per il pessimo materiale, come è quantificabile?

Gli autori del libro tagliavano corto e parlavano di 42 fantastilioni di euro. “L’ordine di grandezza è quello usato per riferirsi al patrimonio di Paperon de Paperoni. Il 42, alcuni l’avranno capito, è la “risposta alla domanda sulla vita, l’universo e tutto quanto” della serie di romanzi della Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams”.

Ma sappiamo che l’habitat della corruzione sono le leggi, l’impunità, cosa che il servizio svizzero non traccia (peccato), e il sottobosco di relazioni che ancora oggi governano l’amministrazione italiana. In altre parole, dallo Stato unitario ad oggi è la solita minestra, in più paghiamo con le tasse il malgoverno sanitario regionale, anche al Nord, e altro delle regioni sprecone, per non parlare della Capitale d’Italia, i cui deficit di bilancio sono sempre risanati con i soldi del Nord.

Se non è zuppa, è pan bagnato. La via d’uscita? E’ così semplice. Autonomia fiscale, amministrativa, responsabilità di spesa. Allora chiediamoci perché l’autonomia tanto sbandierata molti politici non hanno fretta di raggiungerla come vorrebbe il comune cittadino.

Monica Rizzi, responsabile organizzativo federale Grande Nord

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