di ROBERTO BERNARDELLI – Dall’inzio dell’anno e fino a settembre sono andati gambe all’aria 20mila negozi di quartiere. Ma la prioprità che salva il paese dalla crisi e dalla recessione, per il governo, è chiudere i porti, fermare la Tav, bloccare le auto diesel, dare una paga agli sfaccendati del sud. Lo dicono i dati. Tasse, iva, troppo Stato ammazzano. Nei primi nove mesi del 2018 Confsercenti ha censito la chiusura definitiva di 20mila attività famigliari.
Ma che tirano giù la saracinesca non sono solo i piccoli, a dimostrazione che i consumi sono fermi, che non c’è ripresa. La flessione costante nei primi tre trimestri dell’anno (-2% dei prodotti non alimentari) è infatti la più forte dal -2,9% del 2013, all’apice della recessione dei consumi che ha colpito il nostro Paese nel triennio 2012-2014, spiega Confesercenti.
Ci sono bilanci appena sopra lo zero per le vendite nel 2015 e nel 2016, per poi tornare in rosso lo scorso anno. Nella grande distribuzione organizzata da inizio 2018 a settembre i risultati hanno toccato un misero più 0,2%. Nel 2017 avevano fatto segnare un più 2%.
Il costo della vita morde il freno, il lavoro diminuisce, non siamo solo in recessione ma in deflazione. Tutto perde valore, aumenta l’invenduto, le imprese non assumono e, se il mercato non si riprende, chiudono e tagliano posti di lavoro.
Ma in Italia l’importante è combattere l’Europa, fare una manovra che alza lo spread, le tasse. Siamo in agonia, e i cittadini non hanno ancora compreso lo scenario prossimo venturo.