L’imbecillità di cui è lastricata la strada verso l’autodistruzione di un consesso civile molto spesso s’ammanta delle vesti suggestive dell’ideale e spande intorno a sé l’aura decettiva di un umanesimo onirico, sconsiderato e, quel che è peggio, fatalmente dannoso proprio verso chi ne è il destinatario.
La pretesa ideologica di voler imporre, mercè l’apertura incondizionata delle frontiere, un’integrazione coatta con culture e popoli diversissimi dal nostro genera intolleranza e conflitto, aggiunge povertà alla povertà, disagio al disagio, impone onerosissimi costi sociali e mette in pericolo la concreta possibilità di una proficua e pacifica convivenza tra indigeni ed allogeni nel quadro di regole certe, accettate e condivise. In tale contesto, anche la semplice possibilità di un dibattito serio e spassionato sulla cosiddetta “società multiculturale” viene negata in nome di un perniciosissimo cretinismo politically correct, zeppo di cascami sociologici e luoghi comuni a loro volta catalizzatori di uno strisciante razzismo al contrario in nome del quale i diritti di cittadinanza dovrebbero essere estesi a tutti (regolari e clandestini) e gli usi e costumi degli ultimi arrivati dovrebbero fare aggio non solo su tradizioni ed abitudini indigene antiche e consolidate (il che è già grave) ma sulle stesse leggi dello Stato e sul sentimento religioso di un popolo (il che è inammissibile).
Il vittimismo tracotante ed aggressivo, fomentato dall’esiziale stupidario delle sinistre e da un certo (sciagurato) clero “impegnato”, unitamente ad interpretazioni “stravaganti” della “Costituzione” (usata in questo, come in altri casi, come un corpo contundente da certi abatini “democratici”) ha favorito il rivendicazionismo intollerante ed anarchico delle più sparute minoranze, portatore, a sua volta, di disordine sociale, incubatore di xenofobia e distruttore dello Stato di diritto.
La diffusa non accettazione delle regole da parte dello straniero è diretta conseguenza del deficit di credibilità (e di autorità) delle istituzioni, della demagogia cialtrona delle sinistre e del solidarismo sbracato di taluni settori ecclesiastici ai quali si salda – e ingrassa – l’industria del “volontariato retribuito”, complice e fiancheggiatrice “oggettiva” del lucroso affare criminale legato all’immigrazione clandestina. Uscire da questo devastante circolo vizioso è possibile solo ripristinando la supremazia della legge, salvaguardando identità e cultura autoctone, riaffermando il principio fondamentale per il quale l’ospite (immigrato o rifugiato, regolare o clandestino poco importa) deve adattarsi alle regole ed abitudini del paese ospitante e non viceversa e che chi vuole entrare lo deve fare dall’ingresso principale e non imporre la sua presenza con la forza o con l’inganno di (spesso farlocchi) status di rifugiato.
Respingere il ricatto visionario dei predicatori ubriachi dell’utopia mondialista, rintuzzare senza pavidità e sciocchi timori la demagogia d’accatto degli scaltri dilettanti della santità dietro la quale prosperano il neoschiavismo strisciante di malavitosi e sfruttatori affamati di mano d’opera a basso costo e quello, patente e spietato, dei commercianti d’uomini è un dovere civile ed una priorità politica.
L’accoglienza indiscriminata propugnata irresponsabilmente dagli apprendisti stregoni del terzomondismo è solo il migliore terreno di coltura di nuove miserie e feroci sfruttamenti, il vero razzismo è quello di chi pretende di annullare le differenze, cancellando tradizioni e valori condivisi , in nome di un ipocrita ideale di fratellanza universale, inseguendo il miraggio retorico del “meticciato” troppo spesso invocato per camuffare squallide convenienze economiche e soddisfare l’esibizionismo fariseo di inesistenti “virtù civili”.