di ENZO TRENTIN (Il meglio de lindipendenza) – Nel silenzio dei media di regime italiani la Grecia è sull’orlo della guerra civile alla vigilia della riforma delle pensioni, e dell’aumento sproporzionato delle tasse agli agricoltori. Da noi non sembra andar meglio: è stato annunciato che le pensioni di «reversibilità» (prevalentemente godute da anziane vedove) subiranno degli “aggiustamenti”. E più i politicanti tendono ad usare termini diminutivi e morbidi, più l’esperienza c’insegna a dubitare della loro buona fede e del loro operato. Dubitiamo, infatti, che la “Casta” rinuncerà ad alcuni privilegi che si auto elargisce senza che il cittadino ‘sovrano’ di cui al Comma 2, dell’art. 1, della Costituzione, abbia voce in capitolo. Persino la Corte costituzionale asserisce che i loro sono diritti acquisiti.
Il caso più spettacolare di diritti acquisiti è quello di Anna Maria Cacciola, figlia di Natale Cacciola, messinese che si candidò, nel 1947, all’assemblea sicula con il partito Monarchico. Dopo solo tre anni l’onorevole (titolo che spetta ai consiglieri regionali in Sicilia) finì il suo mandato, e in base a quei tre anni passati lì maturò il vitalizio di attuali 2.000 euro al mese. Passato a miglior vita, l’assegno è stato trasferito per «reversibilità» alla suddetta figlia Anna Maria, che lo incassa da ben 41 anni, senza aver mai neppure messo piede all’assemblea regionale. Così pure gli eredi del marsalese Ignazio Adamo, eletto nel 1955, defunto nel 1973. Da quell’anno, cioè da 43 anni, l’assegno di 3.900 euro è stato versato prima alla vedova, e ora – dopo la scomparsa della signora Adamo – alla figlia. Anche in Abruzzo i congiunti di 34 ex consiglieri regionali ricevono ogni mese un assegno di reversibilità pari al 50% dell’importo che spettava ai loro cari, mentre la Campania spende un milione e 700 mila euro per mantenere in tutto 184 coniugi, figli e parenti di ex consiglieri defunti. Vitalizi infiniti, anche dopo la morte.
Se dall’estremo Sud ci trasferiamo all’estremo Nord italiota, la musica non sembra cambiare. Il “Corriere della Sera” ci riferisce: «All’anti italiana Eva Klotz, 946.000 euro di pensione. Il calcolo della nuova legge regionale del Trentino che pure aveva tagliato i “vitalizi d’oro” ai suoi consiglieri. Per l’ultras alto atesina una carriera politica iniziata nel 1976. La cifra è frutto del calcolo della pensione da politico alla luce della nuova legge votata dalla regione autonomista e che taglia del 20% circa un precedente vitalizio; che la consigliera autonomista e altri suoi colleghi si erano impegnati a restituire in seguito a una feroce polemica esplosa a proposito dei privilegi per chi sedeva nell’assemblea regionale di Trento. Ciò che era uscito dalla porta, insomma, è rientrato dalla proverbiale finestra. Eva Klotz non è l’unica ad aver intascato il vitalizio d’oro dovuto dalla nuova legge: con lei anche il trentino Marco Benedetti porta a casa 483.500 euro».
Tuttavia Eva Klotz, ritirandosi dalla vita pubblica dopo sei mandati da consigliere provinciale a Bolzano, ha incassato il sostanzioso assegno per aver scelto la formula della soluzione unica anziché quella del vitalizio. Con ciò la Klotz non ha fatto altro che esercitare un diritto acquisito. La cosa da sottolineare, semmai, è che Sud Tirolesi e Trentini vivono in una condizione di vantaggio perché hanno la possibilità di trattenere sul proprio territorio il 90% delle tasse da loro stessi pagate. Dunque, non fanno altro che utilizzare i loro soldi, mandando (da sprecare) a Roma una parte minima del gettito erariale.
Ma se volgiamo lo sguardo altrove non va meglio con i sindacalisti considerato che è stata proposta, dalla deputata Vincenza Labriola (gruppo Misto), una Commissione d’inchiesta alla Camera per fare chiarezza sui bilanci delle organizzazioni dei lavoratori e sui trattamenti pensionistici gonfiati di coloro che hanno ricoperto cariche sindacali, anche per brevi periodi. Si tratta di verificare la possibile violazione di una norma del 1996, che come spiega Labriola: «Secondo i dati forniti dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, i sindacalisti che hanno usufruito della legge 564 del 1996 sono stati 17.319, ma l’INPS non è in grado di rilevarne il costo.» In sostanza quello che sembra essersi verificato è i sindacalisti si facevano distaccare presso il sindacato poco prima di andare in pensione, effettuando dei versamenti volontari alle Casse del sindacato da parte degli stessi lavoratori che li hanno portati a maturare il diritto a percepire una quota integrativa di pensione nettamente superiore a quella a cui avrebbero avuto diritto altrimenti. In questo caso le organizzazioni dei lavoratori sarebbero colpevoli di aver commesso il grave reato di truffa ai danni dello Stato e di appropriazione indebita aggravata.
Tenuto conto che l’Italia è irriformabile; per uscire da questo sistema destinato al fallimento sarebbe necessario separare la spesa assistenziale da quella previdenziale. Una richiesta che proviene da più parti e da molti anni. Qualcuno dice che è un esercizio inutile ma se si conosce bene il nostro sistema previdenziale si capisce che questa operazione non è solo utile in termini contabili, perché fa chiarezza su spese che sono molto diverse tra loro ma è anche un esercizio di equità tra chi ha versato e chi no. È poi necessaria, poiché il modello di welfare italico per finanziare le pensioni prevede una tassa di scopo (i contributi sociali) mentre l’assistenza è finanziata dalla fiscalità generale.
Dal 3° Rapporto sul «bilancio del Sistema previdenziale italiano» elaborato, come ogni anno, dal Centro studi e ricerche di Itinerari previdenziali, emerge che la spesa per pensioni di natura previdenziale, cioè quelle pagate con i contributi dei lavoratori nel 2014, ha raggiunto i 216.107 milioni mentre le entrate contributive sono state pari a 189.595 milioni per un saldo negativo di 26,512 miliardi. Tuttavia se alle entrate contributive totali sottraiamo la quota Gias a carico dello Stato, le entrate da contributi effettivi (da lavoratori e datori di lavoro) si attestano su 172.647 milioni. Parallelamente se alla spesa pensionistica totale sottraiamo le imposte che lo Stato incassa direttamente (salvo ulteriore conguaglio a fine anno) e che quindi sono semplicemente una «partita contabile di giro» e quindi una «non spesa», il totale si riduce a 173.207 milioni. Se poi separassimo davvero l’assistenza dalla previdenza, queste cifre risulterebbero più confortanti, ma comunque la necessità di una riforma non sarebbe esclusa.
Basterebbe poco se ci fosse la volontà di riformare. Per esempio ci si potrebbe orientare sul sistema pensionistico vigente in Svizzera o quello ideato dal cileno José Piñera [http://www.josepinera.org/WorldPension/penref_europe_Un_Modo_per_Uscire_dalla_Crisi_Europea%20.htm” target=”_blank” rel=”nofollow” shape=”rect”>http://www.josepinera.org/WorldPension/penref_europe_Un_Modo_per_Uscire_dalla_Crisi_Europea%20.htm ], che è stato il ministro del Lavoro che ha inventato la riforma “a capitalizzazione, privata e concorrenziale” cilena, e che piano piano sta prendendo piede in numerosi Paesi: circa una trentina ad oggi. Questo sistema si chiama “a capitalizzazione”. Se vogliamo dare anche a lui un soprannome potremmo chiamarlo “il sistema del vai in pensione quando decidi tu” oppure del “nessuno può toccare i soldi che risparmi per la tua pensione”. Vediamo come funziona. Questa è una breve sintesi in soli 10 punti, fatta a suo tempo da Giancarlo Pagliarini:
1 -Tutti quelli che lavorano saranno obbligati a pensare alla loro vecchiaia, e di conseguenza saranno obbligati a versare una parte del loro stipendio, minimo il 10%, su un loro conto, per la loro pensione. Questo conto chiamiamolo “fondo per la pensione”.
Si tenga presente che con questo sistema non ci saranno più i contributi sociali. Questo significa che a parità di costo per il datore di lavoro, i soldi che i lavoratori si metteranno in tasca aumenteranno del 32%, salvo le tasse. I lavoratori dovrebbero incassare tutto il loro stipendio, e poi, responsabilmente, dovranno pensare alla loro pensione e alla loro dichiarazione dei redditi.
2 -I “fondi” sui quali i lavoratori faranno i versamenti mensili per la loro pensione saranno fondi individuali e privati. Saranno intestati ai singoli lavoratori. Saranno e rimarranno di loro esclusiva proprietà. Nessuno potrà toccarli, nemmeno i sindacati o lo Stato. Quello che verseranno ogni mese non verrà “requisito” dallo Stato e speso subito per pagare le pensioni di quelli che sono fuori dal ciclo produttivo, come succede oggi col sistema cosiddetto “del cero da accendere a qualche Santo”, ma resterà accantonato per le loro pensioni.
3 – Il denaro versato sui “fondi per la pensione” verrà investito. L’investimento frutterà un reddito che aumenterà la cifra accantonata per la pensione del titolare del fondo.
4 -Se una persona cambierà lavoro, o addirittura Stato, il suo fondo pensione lo seguirà nella nuova professione e nel nuovo Paese.
5 – Ogni lavoratore riceverà un “libretto della pensione” che gli permetterà mensilmente di tener conto di quanto avrà accumulato e di quanto gli avranno fruttato gli investimenti. A sua disposizione ci saranno anche terminali informatici di facile uso tramite i quali si potrà calcolare in ogni momento il valore della singola pensione o l’entità della somma da depositare allo scopo di andare in pensione con una certa cifra ad una età prefissata, e scelta dal lavoratore.
6 – Per la gestione dei suoi soldi accantonati per la sua pensione, ogni lavoratore sarà libero di scegliere tra un certo numero di aziende private che investiranno in pacchetti diversificati di azioni e di obbligazioni a basso rischio. Ci dovrà essere una legge finalizzata a garantire che le società di gestione dei soldi depositati nei “fondi per la pensione” investiranno in azioni e obbligazioni senza rischio.
7 -I lavoratori potranno passare liberamente da un gestore all’altro. Dunque ci sarà concorrenza tra i gestori. Questo è importantissimo. In questo modo i gestori faranno a gara per offrire ai lavoratori (che saranno a tutti gli effetti loro clienti) un servizio migliore e commissioni più ridotte.
8 – Naturalmente sarà prevista una “rete di sicurezza”. Se i risparmi del lavoratore non saranno abbastanza elevati, dopo una certa età lo Stato dovrà garantire una pensione minima. Questa però, sia ben chiaro, sarà “assistenza”, e dovrà essere finanziata con le tasse. Non dovrà essere finanziata con i soldi accantonati per le pensioni. Non dovrà essere possibile finanziare lo stato sociale con gli accantonamenti per le pensioni di domani, come succede oggi in Italia. Altrimenti si continuerà a far pagare ai figli il nostro benessere. Questo si chiama egoismo bello e buono!
Non ci sarà più un’età pensionabile fissata per legge. Ognuno potrà smettere di lavorare all’età che lui sceglierà, purché disponga nel proprio conto di una somma sufficiente ad avere una pensione ragionevole, che, solo per fare un esempio, potrebbe essere fissata al 50% del salario medio dei dieci anni precedenti.
10 – I lavoratori, se lo desidereranno, dopo che avranno iniziato a percepire la pensione, potranno andare avanti a lavorare senza obbligo di continuare a versare alcuna somma nel loro conto previdenziale. In questo modo nessuno sarà costretto ad abbandonare la popolazione attiva, o a lavorare nell’economia sommersa, solo perché percepisce una pensione.
Potremmo continuare, ma speriamo di aver reso l’idea. Nel “Belpaese” si continua con le bugie e le pratiche più inverosimili. Per esempio, si inventano il «redditometro» o gli «studi di settore», ovvero: è il cittadino a dover dimostrare allo Stato come spende i suoi soldi, e la congruità della sua denuncia dei redditi. Mentre dovrebbe essere lo Stato a dimostrare come spende, e se li spende bene, i soldi dei contribuenti. Insomma, gli autentici indipendentisti (non i quisling dell’indipendentismo che non possono oggettivamente far nulla dall’interno delle istituzioni italiane) avrebbero di che lavorare per presentare un nuovo progetto previdenziale; per battere il territorio nell’intento di farlo conoscere, per trovare quel consenso popolare che è indispensabile alla realizzazione del loro progetto di autodeterminazione.