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Indipendenza, l’importanza di un’idea…! Il 29 aprile prima assemblea per una Confederazione

confederazione

di ENZO TRENTIN –   In questi giorni Gianfrancesco Ruggeri ha scritto un articolo per ricordare il 750° anniversario del giuramento di Pontida. [https://www.miglioverde.eu/750-anni-fa-ci-fu-il-giuramento-di-pontida-tutto-dimenticato/ ] Un’alleanza, quella della Lega medievale, che il 1º dicembre 1167 venne allargata grazie alla fusione con la Lega Veronese e per la partecipazione di altri Comuni della Pianura Padana (che allora era definita “Lombardia” nella sua totalità), che portò la Lega a raggiungere prima le 26, e poi le 30 municipalità, tra cui Crema, Cremona, Mantova, Bobbio, Bergamo, Brescia, Genova, Bologna, Padova, Modena, Reggio nell’Emilia, Treviso, Venezia, Novara, Tortona, Vercelli, Vicenza e Verona. E al Barbarossa le suonarono di santa ragione.

 

Ruggeri ricorda ancora che all’incirca un secolo dopo, nell’agosto 1291, sarà stipulato il Patto confederale che documenta l’alleanza eterna dei tre Cantoni di Uri, Svitto e Untervaldo dell’odierna Svizzera Centrale, chiamato Patto del Grütli, dal nome del luogo dove fu stipulato. A suggellare il trionfo confederale, il 9 dicembre 1315, i tre cantoni confermarono il patto del 1291, stringendo un nuovo giuramento e ampliando i contenuti della loro alleanza-unione. Il nuovo patto, detto di Brunnen, non è più un accordo giurato da notabili: è un insieme di grandi norme che saranno lette e giurate – e lo saranno per secoli – in ogni Landsgemeinde, dai confederati. Insomma un “Foedus” di indiscutibile successo sia per i sottoscrittori, che per la democrazia (diretta) più proficuamente esercitata.

 

Non bastasse, Marcello Caroti [qui: http://www.lindipendenzanuova.com/perche-la-secessione/ ] ricorda come il professor Roberto Orsi nel suo ultimo scritto: “La questione morale nella politica italiana”, sostenga che lo Stato italiano è irriformabile perché costituzionalmente impostato sul malaffare.  Ma la cosa sulla quale di più c’interessa speculare politicamente è l’affermazione di Gianfrancesco Ruggeri: «La dimostrazione che una buona idea è importante, ma che ancor più importante è come la si mette in atto, noi purtroppo ci siamo limitati alla buona idea.»

 

Partiamo dunque da quest’ultima affermazione per riproporre ancora una volta (perché con nostra grande amarezza, malgrado molto sia stato scritto, poco sembra essere stato accolto dal mondo indipendentista) la riflessione sui metodi che si sono dimostrati fallimentari per raggiungere l’indipendenza e l’autodeterminazione che, lo ripetiamo, non sarà concessa da qualcuno ma sarà frutto di una secessione che noi ovviamente auspichiamo e vogliamo pacifica.

 

Sono ancora parecchi coloro che – più o meno in buona fede – sono convinti che entrando nelle istituzioni italiane si possa modificarle in senso più marcatamente democratico. Senza farla tanto lunga, negli ultimi decenni, tra gli altri ci hanno provato mietendo insuccessi a non finire: il Partito Radicale, la Liga Veneta, poi la Lega Nord, l’Italia dei Valori, mentre oggi ci sta provando il Movimento 5 Stelle, per ora con grande successo nei sondaggi, ma nessun effetto sul piano legislativo.

 

Oppure ci sono ancora molti sedicenti indipendentisti che sono convinti del fatto che basterà loro farsi eleggere in Regione (del Veneto in particolare) per poter avere una presenza mediatica attraverso la quale trasmettere il loro messaggio politico. Per poter alla fine indire un referendum per l’autodeterminazione.

 

Soffermiamoci sulla questione mediatica. Quasi nessuno riflette sul fatto che la comunicazione non la fanno i giornalisti; la fanno i mass-media. I giornalisti sono solo degli stipendiati dalla proprietà dei vari “mezzi”, quindi non sono i dipendenti che vanno persuasi ma la proprietà. Non bastasse, c’è la comunicazione e la controinformazione. E prendiamo un esempio tra i tanti possibili:

 

Il Veneto ha 1.293.133 pensionati, su una popolazione di 4.937.854 abitanti. I pensionati sono il 26,2% della popolazione della Regione. La stragrande maggioranza percepisce il minimo 501,88 (ma i calcoli li fanno su 750 euro lordi al mese) ed un pensionato italiano che prende 750 euro al mese è l’unico a pagare le tasse (il 9,17%), mentre un “collega” francese, tedesco, spagnolo e inglese non paga nulla. Non va trovata una soluzione solo per convincere i pensionati a votare una lista regionale indipendentista, ma anche tutti coloro (il rimanente 73,8%) che oramai si sono persuasi che la loro pensione è a rischio, o addirittura non sarà erogata?

 

Di fronte a questi dati cosa fa il potere? Ecco la controinformazione:

[https://www.facebook.com/groups/1011216088931339/permalink/1473510286035248/]

 

5.4.2017 – Qualche settimana fa è stato presentato alla Camera dei Deputati il “Rapporto numero 4 anno 2017 sul bilancio del sistema previdenziale italiano – Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2015” a cura del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali. Cifre e commenti inequivocabili smentiscono in modo clamoroso la disinformazione corrente sulla spesa pensionistica fatta circolare ad arte e spesso “bevuta” dai media senza verifica alcuna. Ecco i dati nudi e crudi: (…)

 

*) Non è vero che ci sono 15,6 milioni di pensionati sotto i mille euro: sono meno di 6,9 milioni, e con scarsa o nulla contribuzione. (…)

*) Scandalo Irpef: metà dei cittadini paga un’imposta media di 305 euro, mentre la sola spesa sanitaria è di 1850 euro a testa. Come coprire le future prestazioni del welfare, considerando la colossale evasione fiscale, mai scalfita? “È ovvio che una siffatta situazione sia poco sostenibile nel medio termine – commenta il rapporto – anche perché a guardare le dichiarazioni Irpef degli italiani vien da pensare anzitutto che non siamo un Paese appartenente al G7, ma in fase di sviluppo. E soprattutto che finanziare il nostro generoso welfare potrebbe essere sempre più difficile in futuro”. Infatti, analizzando le tabelle Irpef, emerge che i primi 18 milioni di contribuenti (cui corrispondono 27,9 milioni di abitanti, quasi la metà degli italiani), dichiarano un reddito da zero a 15 mila euro (600 lordi al mese) e pagano un’imposta media di circa 305 euro l’anno, versando anche pochissimi contributi. Considerando che la spesa sanitaria pro capite ammontava nel 2014 a 1850 euro (fonte Agenas), solo per garantire la sanità a questi cittadini occorrerà reperire 43 miliardi. Poi c’è tutto il resto: scuola, sicurezza, strade, funzionamento della macchina pubblica e così via.

 

Commentiamo noi: qui capziosamente si fanno ricadere le prestazioni del welfare su coloro che, accantonando per fini pensionistici un proprio capitale, in realtà lo vedono gravare sul welfare che il dettato costituzionale [Art. 32. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…] prevede a carico della fiscalità nazionale. E sorvoliamo del tutto la questione immigrazione-invasione.

 

Ed ecco proseguire la solita tecnica del divide et impera, mettendo gli uni contro gli altri:

 

*) Dipendenti e pensionati mantengono gli autonomi: due milioni di “desaparecidos fiscali”, il 93% è a carico degli altri lavoratori.

 

I lavoratori dipendenti rappresentano la metà dei contribuenti (20,4 milioni su un totale di 40,7 milioni) e versano 99 miliardi di Irpef, quasi il 60% su un totale di 167 miliardi. I pensionati (14,8 milioni di dichiaranti) ne pagano 58,5 miliardi (35% del totale). Tutt’altra musica per i lavoratori autonomi, che versano 9,6 miliardi, il restante 5,7% del totale. Istat e Censis ne stimano circa 7,5 milioni, ma i dichiaranti sono soltanto 5,4 milioni, di cui i versanti con redditi positivi appena 2,8 milioni. Di questi, oltre i tre quarti (77%) dichiarano redditi tra 3.500 e 11.000 euro lordi e pagano un’Irpef media di circa 200 euro l’anno. Un altro 15,9% – con redditi tra i 15 mila e i 35 mila euro – paga un’Irpef media di circa 1.500 euro, insufficiente anche per coprire i costi della sola sanità. In pratica il 93,5% (non considerando i quasi 2 milioni che non risultano al Fisco) è a carico degli altri lavoratori.
Chi pagherà in futuro i miliardi di euro per coprire i buchi del servizio sanitario, e i cento e passa miliardi della spesa per assistenza? Come si potranno pagare le pensioni agli oltre 10 milioni di soggetti che, non dichiarando nulla ai fini Irpef, e ovviamente sono anche privi di contribuzione?

 

A queste domande il rapporto non da’ risposte, ma ne suggerirne una: non pagheranno certo dipendenti e pensionati. Abbiamo già dato. Ecco applicata alla lettera “La Statistica” di Trilussa:

 

Sai ched’è la statistica?

[…]

 

Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:

e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perch’è c’è un antro che ne magna due.

 

Esemplificata la precarietà della giustificazione di farsi eleggere per fare comunicazione va considerato più che lecito che qualcuno voglia candidarsi a qualcosa, ma gli elettori dovranno in ogni caso sapere esattamente, e con prove documentali, il motivo per cui votarli. La storia è lì a dimostrarci che le istituzioni italiane non si cambiano dal loro interno. In ogni caso gli indipendentisti dovranno elaborare un progetto istituzionale che convinca la popolazione a cui intendono rivolgersi. E se avessero tale progetto già da ora; se lo propagandassero capillarmente; se questo ottenesse il consenso popolare, la secessione sarebbe un atto che si fa un minuto dopo proprio con l’approvazione della cosiddetta sovranità popolare.

 

Si fa un gran citare delle esperienze scozzesi e catalane; ma nessuno dice che:

  1. Il Parlamento scozzese ha enormi poteri, e il referendum scozzese fu preceduto da un “Libro Bianco” che illustrava puntigliosamente il dopo indipendenza.
  2. Anche la Generalitat de Catalunya ha un’autonomia che il Veneto non otterrà nemmeno se i sogni di Luca Zaia si avverassero, e che i catalani si sono guadagnati l’appoggio di circa il 50% della popolazione, perché da tempo possono esibire una bozza di progetto istituzionale per il nuovo Stato.

 

Dunque, se gli scozzesi sapevano, e i catalani conoscono per cosa votare; i veneti senza un patto di convivenza civile convenuto a priori si troverebbero a designare solamente delle persone senza titolo di credito che promettono di fare questo e quello. E gli individui che nel tempo hanno chiesto e ottenuto il voto per l’autonomia, per il federalismo, e ora per l’indipendenza, una volta eletti, oltre ad incassare privilegi e prebende personali, cosa hanno fatto e ottenuto?

 

Il 29 Aprile a San Bonifacio (VR) si terrà un’assemblea pubblica dove, tra l’altro, si presenterà un progetto autodeterminativo. Sarà la volta buona? Tale progetto conterrà tutte le risposte che uno Stato indipendente del Veneto dovrà dare? Vedremo!

 

 

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