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INDIPENDENZA? LA NOSTRA UNICA ABILITÀ DEV’ESSERE QUELLA DI RIUSCIRE A CAMBIARE

leonevalstagnadi ENZO TRENTIN –  Ci sono articoli che prendono spunto da altri. In questo caso l’elemento promotore è una frase che Marcello Ricci ha recentemente scritto in un intervento apparso in questo giornale: «La moderazione è propria di stili di vita, nel mangiare, nel bere o altro. Non ha senso essere “moderati” nel rivendicare la propria libertà, nel reclamare l’indipendenza. La Lombardia e il Veneto hanno la voglia di affrancarsi dal dominio di Roma, ma nonostante il diffuso e profondo sentimento non riescono ad andare oltre il placebo referendario. È per moderazione? La libertà non la si conquista con sentimenti tiepidi…».

Confermo! Anche dal mio punto di vista nel lombardo-veneto ci sono tra la popolazione diffusi sentimenti di insoddisfazione; di disaffezione; di voglia di cambiamento. Tra i tanti mali dell’Italia di un tempo c’era il partito unico; oggi c’è la congrega di una partitocrazia rissosa, inconcludente, corrotta e corruttibile; completamente avulsa dal perseguimento del cosiddetto “bene comune”. E, purtroppo, in questo discredito generale dei partiti, alcuni sovranisti non vanno oltre la prefigurazione dell’ennesimo partito; sia pure in salsa indipendentista!

Sull’indipendenza non c’è tuttavia un’informazione diffusa, credibile, “spendibile”. Oltre a questo periodico on line ce n’è un altro, e niente più. Ma ambedue non hanno un considerevole numero di lettori. Uno dei due poi è anche – comprensibilmente – a pagamento, ed io conosco indipendentisti che rifiutano di abbonarsi a 25 € l’anno. A prescindere da ciò, l’argomento indipendenza è oggettivamente ghettizzato. Ovvero, ci leggiamo tra di noi. Se alcuni appaiono nelle TV private sono quasi sempre gli indipendentisti a fare da telespettatori. E costoro non hanno certo bisogno di essere persuasi. Si riducono a tifare.

Ha ragione Marcello Ricci laddove scrive che la moderazione non basta; che non ha senso essere “moderati” nel rivendicare la propria libertà, nel reclamare l’indipendenza. Dunque non c’è da dare molto credito ai sedicenti leader dei partiti indipendentisti, poiché essi predicano la moderazione e reclamano il voto per entrare nelle istituzioni italiane (profumatamente pagati), per chiedere… “il placebo referendario”. Marcello Ricci Ipse dixit.

È fuorviante, se non peggio, rivendicare a propria giustificazione i comportamenti degli scozzesi e dei catalani. In primo luogo perché costoro hanno dei Parlamenti le cui competenze fanno impallidire i Parlamentini delle nostre Regioni. Eppoi c’è un’etica sconosciuta da noi. Per esempio, Alex Salmond quando perse per un pelo il referendum sull’indipendenza scozzese, il 19 settembre 2014 annunciò che non avrebbe corso per la riconferma come leader del Partito nazionale scozzese.

Qui nel profondo nord si da’ vita ad un nuovo soggetto politico e lo si cavalca. E nel lombardo-veneto abbiamo pseudo leader che spaccano il partito per le poltrone, per la formazione di correnti, per bullismi, rancori, rivincite e vendette. Viene formato un nuovo soggetto in competizione con il precedente, e tutti questi pseudo partiti indipendentisti sono funzionali ad alcuni solo per poter continuare a “mettere il cappello” sulla nuova aggregazione. Perché lo fanno? Al di la’ dell’ambizione personale di pochi (cosa in certa misura accettabile) lo fanno per poter essere in cima alla lista delle elezioni. Vogliono assidere sullo scranno per fare questo e quello; ma le percentuali di voto che raccolgono sono da prefisso telefonico, perché il retro-pensiero dell’elettore è: «costoro vogliono accaparrarsi le prebende e i privilegi che la politica del “bel paese” elargisce in barba a qualsiasi crisi.»

C’è da crederci considerando che quando i “rappresentanti” sedicenti indipendentisti manifestano solidarietà ai catalani, si guardano bene dall’assumere quelle deliberazioni che hanno portato Carme Forcadell, Artur Mas, Carles Puigdemont ed altri membri del Parlament de Catalunya, davanti alle Corti di giustizia spagnole per “disobbedienza” e “abuso di potere”, dove come minimo rischiano l’interdizione dai pubblici uffici.

Nelle Regioni Lombardia e Veneto, nessuno si sogna di rischiare nulla. Solo belle parole, solidarietà e poco altro. Si gabellano “Risoluzioni” (che sono “raccomandazioni” e “pareri”) per importanti atti deliberativi. Tutto questo è il risultato di una proposta per l’indipendenza priva di un progetto istituzionale innovativo, e soprattutto concertato a priori. Non si approda a nulla e, peggio, si rimanda ad un imprecisato futuro. Del resto in Veneto, il Consiglio regionale presieduto da Luca Zaia, nemmeno prende in esame le petizioni popolari tese ad ottenere strumenti di democrazia diretta. Si veda qui: https://piudemocraziavenezia.wordpress.com/2015/11/20/consegnate-le-petizioni-alla-regione-veneto-per-la-democrazia-diretta/

Lo sanno bene quei militanti di partito che allestiscono gazebo per raccogliere firme per questa o quella causa; oppure per distribuire volantini, vendere bandiere, gadget et similia. Perché l’uomo qualunque risponde più o meno in questo modo: «Sì sarebbe bello; ma dopo che anche voi sarete entrati nella stanza dei bottoni vi comporterete alla stessa maniera.» Infatti che alternativa gli si prospetta? Nessuna!

È vero che negli anni scorsi ci sono stati personaggi che hanno battuto il territorio per tenere diverse conferenze e incontri. Bisogna prendere atto che molte volte le sale erano piene di pubblico. Ma si trattava in prevalenza di militanti di partito delusi delle proprie esperienze, e speranzosi di poter cooperare con un organismo più aderente alle loro aspettative. Ciò nonostante nessun soggetto politico importante è emerso, e quando costoro si sono presentati alle elezioni, malgrado le auto-assoluzioni e l’auto-compiacimento per il risultato comunque ottenuto, non sono mai stati premiati da un sistema italiano chiuso, e dove per entrare si debbono superare infiniti ostacoli.

Alle platee di cui sopra è stata ammannita l’interpretazione di questa o quella legge, di questo o quel diritto. Mai si è scesi a dimostrare in base a quali rivoluzionarie normative l’indipendenza agognata sarebbe migliore del presente. Oppure in base a cosa il cittadino lavoratore, l’imprenditore, il pensionato, la massaia sarebbero vissuti meglio. Al massimo si è gabellata l’idea del residuo fiscale – una frottola che ancor oggi qualcuno continua a raccontare – che certamente esiste, ma per conservare il quale si dovrebbe mantenere la stessa persecutoria imposizione fiscale, che notoriamente non favorisce il rilancio dell’economia. Men che meno si è pensato ad imitare, per esempio, il britannico “governo ombra” per poter dire all’universo mondo: «Vedete? Questo è quello che produce la partitocrazia italiana. Se noi avessimo l’indipendenza, con le sue nuove regole il problema sarebbe risolto in quest’altra maniera.»

Insomma senza farla tanto lunga, poiché non è la prima volta che mi soffermo su questo tema, i vantaggi di un progetto istituzionale innovativo, e concertato a priori, possono essere così evidenziati:

  1. Un coinvolgere la cosiddetta Intelligencija. Ci sono numerosi ed apprezzabili studiosi; ma nessuno ha ancora trovato la forza e la formula per riunirli in una specie di “costituente” che abbozzi un progetto. C’è necessità di un’Intelligencija che operi attivamente per l’indipendentismo, perché, come scriveva José Ortega y Gasset [La ribellione delle masse]: «…la storia, il progresso, si attuano ad opera delle minoranze. Se vi deve essere un rinnovamento, dunque, questo deve avvenire ad opera dei migliori, che vanno, comunque, reclutati in maniera liberal-democratica.»
  2. I politici dovrebbero assumere posizioni più defilate, meno competitive e più collaborative con la predetta Intelligencija, almeno nella fase iniziale. Ciò non toglie che i cittadini possano scegliere i propri rappresentanti. Il problema è che questi ultimi debbono rimanere dei “delegati”, ed essere pertanto sempre controbilanciati dalla cosiddetta sovranità popolare per mezzo degli strumenti della democrazia diretta: istanze, petizioni, referendum, iniziativa di leggi e delibere, revoca degli eletti laddove ricorrano determinate condizioni.
  3. In questo scenario verrà comunque fuori una minoranza eletta. Vi dovrebbero appartenere persone che continuamente si sforzano di uscire dal coro e diventare attori protagonisti, qualunque sia il loro ceto e il loro censo.
  4. Una volta in possesso di una bozza di progetto istituzionale, si usi quella per una capillare azione informativa e di “conquista dei cuori e delle menti” della popolazione lombardo-veneta. Alla massa dei cittadini si deve far comprendere che se può godere di certi vantaggi ciò è dovuto al progresso: ma per progredire ci vogliono sforzi, ci vuole l’opera di singoli individui, usciti dal coro, diventati attori protagonisti.
  5. Dimostrare con la bozza di progetto istituzionale alla mano, che veramente si realizzerà un cambiamento. E dev’essere qualcosa che assomigli a quanto Buckminster Fuller sosteneva: «Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la realtà obsoleta.»
  6. In questa prospettiva la politica richiede mediazione e ragionamento, mentre l’uomo-massa concepisce la politica solo come azione diretta. Non rispetta, cioè, chi discute, non è disposto a mettere in gioco le proprie idee. La politica invece richiede mediazione e ragionamento, e disposizione a mettere in gioco le proprie idee. Sbaglia, quindi, chi pensa che lo Stato possa risolvere tutti i problemi, e l’individuo-massa sbaglia se pensa di continuare a rilasciare “deleghe in bianco”.

 

Sarebbe quindi auspicabile che la bozza di progetto istituzionale facesse proprie, tra l’altro, le indicazioni di PierreJoseph Proudhon: «Affinché il contratto politico rispetti la condizione sinallagmatica e commutativa suggerita dall’idea di democrazia [perché, in parole povere, sia vantaggioso ed utile per tutti. Ndr], bisogna che il cittadino, entrando nell’associazione:

 

  • abbia tanto da ricevere dallo Stato [da preferirsi la definizione: «governo», che è un’altra cosa. Ndr.] quanto ad esso sacrifica;
  • che conservi tutta la propria libertà, sovranità ed iniziativa, meno ciò che è la parte relativa all’oggetto speciale per il quale il contratto è stipulato e per il quale chiede la garanzia allo Stato. Così regolato ed inteso il contratto politico è ciò che io chiamo una federazione.»

 

INFINE C’È LA SOGGETTIVITÀ GIURIDICA NEL DIRITTO INTERNAZIONALE

 

Nel diritto internazionale per soggettività giuridica s’intende l’astratta attitudine di un ente a diventare titolare di diritti e obblighi previsti dalle norme di diritto Internazionale: ciò si verifica quasi automaticamente non per effetto di una norma (come nel diritto interno), ma in quanto uno Stato-[«governo»] afferma la sua effettiva autonomia e indipendenza, cioè il suo potere sovrano. Cosa che dovrebbe essere più agevole con il consenso popolare derivante dall’accettazione di una bozza di nuovo assetto istituzionale quale conditio sine qua non per la secessione. L’Italia non darà l’autonomia al lombardo-veneto, figuriamoci l’indipendenza.

Per lungo tempo tale capacità di autonomia e indipendenza è stata attribuita esclusivamente allo Stato, ovvero a quella forma di organizzazione politica realizzatasi compiutamente nel 1648, anno del Trattato di Westphalia che segnò il definitivo tramonto di Impero e Papato che erano al vertice della cosiddetta «Res publica christiana». Ma oggi si può benissimo invocare la cosiddetta “sovranità popolare” che si esprime nell’accettazione di un nuovo “patto sociale”, codificato ed accettato – eventualmente per mezzo di un referendum –  con un nuovo progetto istituzionale.

 

Convinciamoci del fatto che viviamo in un mondo meraviglioso e pieno di bellezza, fascino e avventura. Non c’è fine alle avventure che possiamo avere se solo le cerchiamo con gli occhi aperti.

 

 

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