Indipendentisti, unire gli sforzi in Europa o non si va da nessuna parte

 di ROMANO BRACALINI

Vedo nel marasma politico italiano un proliferare di movimenti di liberazione, però divisi e deboli perché privi di un programma comune. Anzi vedo in ciascun movimento una idea di primogenitura orgogliosa e quasi ostile, un impedimento a confidarsi e a unire gli sforzi. Il Veneto aspira da sempre all’indipendenza perduta. La Lombardia mette in campo un lombardismo orgoglioso che a fine Ottocento Filippo Turati tentò di tradurre nella formula avvicente dello “Stato di Milano”. Il Piemonte neghittoso e assorto, quasi geloso del suo passato regale di Stato guida, è incerto tra antico leghismo, aspirazioni autonomiste e vecchio ordine partitocratico. Torino, dopo i Savoia, è stata la culla del comunismo gramsciano; Togliatti ne ereditò i connotati rigidi che impresse al suo partito. Torino da sempre è amministrata da sindaci della sinistra statalista. Sulla testa del presidente Cota pende un fatale destino di rimborsi truffa che favoriscono la rimonta del Pd, e così il Piemonte tornerebbe nell’orbita italiana.

La mutazione nazionale della Lega non ha significato la fine delle antiche aspirazioni di libertà. Anzi le ha accentuate nei diversi sbocchi e varietà che attendono di essere ordinati e riuniti nella lotta comune. Il nemico è lo stato italiano che, privo ormai di bussola, vivacchia secondo l’antica regola coloniale del “dividi et impera”. Ma la cornice più vasta del nuovo ordine finanziario, che prevede un ulteriore restringimento delle libertà e delle sovranità popolari, è questa Europa che comincia ad accusare i colpi che le vengono inferti ogni parte dell’impero. Perfino Letta, democristiano imbelle, cattolico cinico e indifferente ai moti di novità e di protesta, s’è accorto del pericolo che corre questa Unione sempre più assediata dai movimenti che la contestano e la considerano un potere autoritario, freddo e illegale. Sembrerebbe il momento di confrontare i programmi, darsi una strategia comune, invece vedo solo enunciazioni di retorica in un panorama affollato di buone intenzioni che restano deboli e divise sul piano dell’azione; è dal confronto anche conflittuale che nascono le idee; se ciascuno resta nel proprio guscio si perderà solo del tempo prezioso.

Vedo che l’antico spirito di divisione italiano ha contagiato anche i movimenti indipendentisti. Eppure qualcosa si muove. L’Europa per cinque secoli è stata dominata dalle Città-stato e solo da un secolo e mezzo dalle Nazioni-stato. Oggi in Europa c’è la medesima visione che postula una Europa dei popoli come nel Rinascimento con la nascita delle nuove potenze commerciali da Firenze, a Venezia, a Amsterdam, alle città Anseatiche, Amburgo, Brema e Lubecca. Dopo l’Europa dei banchieri, che hanno annullato la volontà popolare, risorgerà la nuova Europa regionale con i poli di sviluppo nelle medesime grandi Città-stato dei secoli passati. Non ci saranno più i tradizionali confini tra le nazioni, spariranno le stesse denominazioni storiche di Germania, Francia, Italia, Inghilterra e su di esse si affermeranno le antiche denominazioni dei popoli: Lombardi, Veneti, Tirolesi, Sloveni, Bavaresi, Catalani, Bretoni,N ormanni, Savoiardi, Fiamminghi, popoli di nuovo liberi e sovrani ma strettamente legati tra loro da un patto spontaneo di amicizia e comunanza di interessi e di ideali. L’Italia tornerà ad essere quella di prima il 1860. Tornerà il Lombardo-Veneto, gli antichi ducati, il Sud continentale e insulare sarà riunito sotto il dominio di un redivivo “regno delle Due Sicilie”. La logica e il buon senso correggeranno le asperità e le ingiustizie storia. I grandi imperi, che erano causa di contrasti e di guerre, cadranno e frantumandosi daranno vita agli innumerevoli popoli che all’interno erano stati immiseriti e ridotti schiavi. L’Unione Sovietica, caduta senza scosse esterne e interne, è l’esempio che le rivoluzioni non si fanno,avvengono,come diceva Carlo Cattaneo.

In questa visione i movimenti indipendentisti non devono farsi trovare impreparati e divisi. Bando agli egoismi regionali e locali, occorre che ciascuno  metta a confronto programmi e obiettivi, metta a frutto ciò che unisce e scarti  ciò che divide. Occorre una operazione di umiltà e di saggezza. Occorre preparare una grande “Convention” europea di tutti i movimenti indipendentisti e antieuropeisti per dar vita a un grande movimento regionale unitario che presupponga la rinascita civica dell’Europa dei popoli liberi. I richiami alla realtà e alla responsabilità di questa Europa,nascondono la debolezza del sistema. Non perdiamo una occasione storica.

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