di FRANCESCO MARIO AGNOLI
Nonostante che il Direttore mi abbia fin dal decorso mese di aprile benevolmente arruolato come articolista, fino ad oggi ho preferito attenermi al ruolo di lettore sia degli articoli dei collaboratori dell’Indipendenza sia dei commenti da loro suscitati (da ultimo ne ho inviato qualcuno anch’io).
Mi spingono a ricordare al Direttore la sua promozione sul campo e a ripropormi come articolista le imminenti consultazioni elettorali e l’opportunità che il mondo autonomista-indipendentista (d’accordo sono due cose diverse, ma, trovandoci a vivere ed operare in uno stato unitario e centralizzato, c’è comunque un tratto di strada da percorrere insieme) le faccia precedere non dalle primarie alla Bersani, ma da un ragionamento comune in termini politici e non di delusioni, per quanto dolorose siano state, e di rancori per quanto giustificati, e che resti coi piedi saldamente agganciati alla realtà ricordando che in democrazia (ma non solo) la politica è l’arte del possibile.
Visto il motivo, il primo punto è se sia preferibile partecipare al voto o astenersi. Molti lettori dell’Indipendenza (forse la maggioranza fra quelli che si sono espressi) e alcuni articolisti si sono pronunciati per questa seconda ipotesi nella convinzione di delegittimare così l’attuale classe politica e il suo sistema di potere. Non ne sono convinto e non mi resta che parafrasare quanto ho già osservato in recente “commento” ad un articolo scritto da Fabrizio Dal Col a favore dell’astensione (Indipendenza 21 dicembre): “In teoria i voti assoluti dovrebbero avere un’importanza quanto meno pari se non superiore a quello attribuito al loro peso percentuale rispetto al totale dei votanti o, addirittura, degli aventi diritto al voto. Tuttavia non è mai andata così e ci sono tutte le ragioni per credere che così non andrà nemmeno questa volta. A parte qualche iniziale e rituale piagnisteo dei mass-media per l’alta astensione in nome della democrazia rappresentativa poco rappresentata, si tornerà subito al giochetto delle percentuali e anche il 30% non del 65%, come prospettato da Dal Col, ma del 50% o meno dei voti validi passerà per un grande successo e, sarà ritenuto più che sufficiente a legittimare parlamento e governo. Basti ricordare che il sindaco di Genova, il nobiluomo di estrema sinistra Doria, ha avuto il voto di meno del 20% del corpo elettorale (e al sindaco di Milano Pisapia non è andata molto meglio e così a tanti altri) senza che nessuno si sogni di metterne in dubbio il diritto a “governare” (anzi a qualche mese di distanza dal voto,l’opinione pubblica è già convinta che abbiano avuto un grande successo)”.
Più o meno sulla stessa linea (forse in termini ancora più radicali, ma al tempo stesso convinti anche dell’improduttività dell’astensione degli elettori) quanti suggeriscono che i partiti autonomisti e indipendentisti non si presentino alle elezioni politiche nazionali (alcuni preferiscono dire “dello stato”), ma solo alle locali (i più oltranzisti nemmeno a quelle o, quanto meno, non alle regionali). Una tesi in termini comparatistici un po’ singolare dal momento che si tratta nella maggior parte dei casi di ammiratori dell’operato dei partiti indipendentisti catalani, sempre citati ad esempio e che però prendono regolarmente parte alle elezioni nazionali (o statali) spagnole. Una contraddizione che andrebbe quanto meno razionalmente spiegata (si spera senza mettere in campo una diversità dell’aria che si respira a Madrid rispetto a quella di Roma).
In realtà il vero problema di tutti gli astensionisti è di trovare un sistema che consenta di raggiungere il risultato che, se è esatto quanto detto (naturalmente è perfettamente lecito essere di parere opposto) non può essere raggiunto con la semplice astensione. Al riguardo merita di essere considerata la proposta, certamente molto efficace se ben condotta in quanto, come e è stato detto, fa mancare il fieno al cavallo, dell’obiezione fiscale. In termini crudi, di non pagare le tasse.
Sistema di efficacia storicamente provata dal momento che gli Stati Uniti d’America hanno il loro certificato di nascita in un caso di obiezione fiscale. E’ però assolutamente indispensabile che si tratti di un’obiezione di massa (allo stato ancora più difficile da ottenere dell’astensione di massa dal voto) per evitare che si risolva in un disastro per gli obiettori, soggetti a pesantissime multe e ad esecuzioni forzate sui loro beni. In ogni caso, in particolare proprio se l’obiezione avesse successo, si dovrebbero mettere in conto, una pressoché certa, in mancanza di un crollo immediato delle sue strutture. reazione molto dura dello Stato e, quindi, come insegna l’esempio degli Stati Uniti, l’eventualità certamente non auspicabile (e confido da nessuno auspicata) di una guerra civile.
In realtà sono state proposte anche altre strade per raggiungere il risultato voluto (si tratti dell’autonomia o dell’indipendenza, della Repubblica Veneta, della macroregione del Nord o dell’annessione della Lombardia alla Svizzera): i referendum popolari e i ricorsi all’Unione europea o a qualche Corte di giustizia internazionale. Ma dal momento che questo scritto, che non vuole superare di troppo i limiti di leggibilità di un articolo di giornale, trae spunto dalla controversa questione del partecipare o no alle prossime competizioni elettorali, mi fermo qui. Se interesserà, potrà presentarsi l’occasione, per qualche rilievo su questi diversi percorsi, che non solo sono perfettamente compatibili con la partecipazione elettorale (questo si potrebbe dire anche dell’obiezione fiscale), ma anzi traggono vantaggio, ai fini della loro proposizione ed ammissione, dalla presenza, ai vari livelli, negli organi istituzionali di rappresentanti (per quanto cattivi siano) dei partiti autonomisti o indipendentisti, e danno dalla loro assenza.