di Riccardo Pozzi – Lunga e diritta sembrava correre la strada dell’inevitabile, sacrosanta rivendicazione territoriale nata dalla Lega Nord nei primi anni “90, tutti lentamente si convincevano che la risposta federale sarebbe stata la più corretta, spesa corrente sotto controllo, spesa regionale responsabile almeno quanto solidale e forse anche un cicinino in più.
Anche i vescovi sembravano federalisti. Poi il pantano. Nessun risultato concreto, tanti annunci, tante trombe ma alla fine è arrivato in porto un federalismo fiscale scarico e disinnescato, per non parlare dei decreti attuativi, che per essere votati dall’alleato Forzitalista dovettero equiparare i costi standard a quelli storici. E comunque tutto fu affossato dal tempestivo e divino intervento del governo Monti, che fece cassa con i pensionati del nord allungando senza vergogna il brodo della contribuzione obbligatoria.
Pochi anni ed eccoci qui a salutare un leader leghista in iperventilazione elettorale, che parla di Italia e italiani che neanche Storace, che arringa sull’orgoglio nazionale, mentre i deputati eletti nelle circoscrizioni del “Sacco del Nord” applaudono tutto sommato contenti e felici, più felici dei piccoli Albertini da Giussano che resistono appesi alle loro giacche, attoniti e spaesati come un cane in chiesa.
Vogliamo però ricordarci com’era e pensare che ancora viva nelle profondità meno toccate dal rincoglionimento social-compulsivo, vogliamo pensare che qualcuno non abbia smarrito la forza dirompente di quella offerta politica, l’unica ancora oggi in grado di raddrizzare questo sciagurato piano inclinato, e farci rivedere questa terra sorridere almeno un po’.