di ROMANO BRACALINI – Nella Sicilia musulmana i cristiani potevano praticare la loro religione, ma non potevano suonare le campane delle chiese o portare la croce nelle processioni, non potevano leggere la Bibbia entro il raggio dell’udito di un musulmano. Dovevano portare dei segni di riconoscimento sulle case e sui vestiti. Pagavano più imposte. Era vietato loro di bere vino in pubblico e dovevano alzarsi quando un musulmano entrava nella stanza e dovevano cedergli il passo nella pubblica via.
Non potevano portare armi, andare a cavallo o sellare i loro muli. Non era loro consentito costruire case più grandi di quelle dei musulmani. Le donne cristiane non avevano accesso ai bagni quando vi si trovavano donne musulmane. Testimonia il grande storico siciliano Michele Amari che le fastose moschee furono costruite di pari passo con la distruzione delle chiese e che la religione cristiana era appena tollerata davanti al totalizzante insegnamento dell’Islam. Sono passati più di mille anni dalla dominazione araba in Sicilia, ma non sembrerebbe granché mutata l’arroganza bellicista dei figli del deserto.
Il risveglio islamico, dopo nove secoli di sonno neghittoso, arma la mano del terrorismo barbaro e crudele e detta legge in casa nostra. Impone alla Francia di abolire la legge sul velo pena l’odioso ricatto, da noi pretende di dettare la linea al governo e di cacciare Berlusconi, amico dell’America, e nemico di Pecoraro Scanio, quello con la fronte bassa; a Milano fioriscono scuole islamiche illegali dove si insegna l’arabo (immagino per favorire l’integrazione e la mutua comprensione) e si fa pratica d’odio contro l’Occidente. Siamo sicuri che il terrorismo che sgozza le sue vittime per sottomettere l’Europa sia una costola impazzita dell’Islam misericordioso? Sappiamo per esperienza che il terrorismo vegeta e si alimenta di complicità e inaridisce e muore quando gli fa il vuoto attorno. Il
terrorismo islamico non è una scheggia impazzita dell’universo islamico, ma la legittima avanguardia di un mondo ostile che coagulando desideri repressi, frustrazioni e viltà, saggia le nostre difese e il nostro istinto di sopravvivenza. L’allora presidente del Senato Pera era stato chiaro ed esplicito, com’era suo costume: «La nostra civiltà è sotto attacco ed è bersaglio di furie totalitarie». Persino Fassino scese dall’impalcatura comunista con espressioni assai simili. Solo la sinistra radicale e illiberale ha dissentito, a riprova che oggi sta con l’Islam fondamentalista come ieri ci cibava del verbo stalinista: cambiano gli attori ma il fine resta lo stesso. «Non dobbiamo essere arroganti con nessuno – aveva detto ancora Pera – ma neppure dobbiamo abbassare le nostre bandiere davanti
a un’inciviltà rimasta al Medioevo».
Inciviltà! È la parola giusta. Che dialogo può esserci tra noi e loro? Che tipo di convivenza che non sia istinto atavico di sopraffazione? Noi abbiamo inventato la democrazia, loro la odiano. Confesso che quando incontro una donna musulmana che ostenta il burka o indossa il velo non esprimo un sentimento benevolo, ma penso alle donne occidentali che nei loro paesi devono sottostare al costume
dell’Islam e coprire la testa altrimenti si ritengono offesi. Quando vedo un maghrebino, un albanese, uno slavo che sale sul tram dalla porta sbagliata e viaggia a sbafo, senza che il controllo gli faccia paura, non esprimo un sentimento di simpatia; quando vedo un cingalese, un pachistano, un africano, come è successo l’altro giorno a casa mia, che in pieno giorno fa pipì contro il portone non esprimo
un sentimento di accoglienza. Dovremmo cominciare a dare la risposta energica che ci viene richiesta per sapere fino a che punto siamo disposti a lottare per non farci ammazzare in casa nostra. Ha ragione Vittorio Feltri: o la guerra gliela facciamo nei loro deserti, o loro la
fanno nelle nostre città. È tempo di reagire con tutti mezzi che le circostanze richiedono.
All’inizio del Novecento, nel Marocco francese bande di predoni sobillate dal deposto sultano rapirono una donna americana insieme ai suoi due figli. Il presidente Ted Roosevelt mandò un contingente di marines che catturò il sultano, la banda di predoni venne annientata e la donna e i figli liberati. Non è un esempio fatto a caso. Se si sostituisce la banda di predoni con il terrorismo islamico e l’Islam
subdolo col subdolo sultano, si avrà la perfetta metafora della rappresentazione odierna. E anche di quello che dovremmo fare.
L’Islam rispetta solo il linguaggio della forza. Certo, non si possono paragonare gli Stati Uniti con la Francia che in Algeria si comportò come i nazisti e oggi traffica con l’Islam, con Hamas e la Jihad (che vergogna!) in chiave antiamericana e antiebraica.
Il terrorismo islamista, come il vile attacco giapponese a Pearl Harbour nel 1941, ci ha dichiarato guerra a tradimento. In Europa ha le sue basi d’appoggio nelle comunità islamiche che non si integrano, nelle scuole coraniche, nell’immigrazione clandestina, trova comprensione nel museo dei partiti comunisti sopravvissuti. Gli iman dicono di predicare la fratellanza universale. Lo fanno accarezzando il coltello dell’assassino. La nostra tolleranza favorisce i disegni degli sgozzatori. Già altre volte l’Islam ha messo in pericolo l’Europa. C’è chi ripete che l’Occidente non ha alcun problema con l’Islam, ma solo con gli estremisti islamici violenti.
Millecinquecento anni di storia dimostrano l’esatto contrario. Il conflitto sorto nel XX secolo tra democrazia e marxismo-leninismo
è un’inezia rispetto al secolare rapporto di conflittualità tra Islam e cristianità. Nel 1095 vennero lanciate le crociate per liberare la terra santa dal dominio musulmano. Secoli dopo l’impero turco ottomano occupò gran parte dei Balcani e del Nord Africa assoggettando le popolazioni e costringendole a convertirsi, nel 1453 conquistò Costantinopoli e nel 1529 cinse d’assedio Vienna. «Per quasi mille anni – osserva lo storico Bernard Lewis – dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’Islam».
L’Islam è quello di sempre: traditore, conquistatore, codardo; ha sempre avuto una propensione alla violenza, alla sopraffazione, alla
guerra. Non si contano i conflitti che hanno scatenato anche tra loro. Scrive Samuel Huntington, nel suo libro Lo scontro di civiltà che «i confini dell’Islam grondano sangue, perché sanguinario è chi vive al loro interno».
L’Islam non è ancora uscito dalle tenebre dell’ignoranza e della supertizione. Non sa cosa vuol dire libertà, non sa cosa significa diritto individuale. Nell’Europa individuale lo spirito imprenditoriale aveva dato il via all’epoca delle grandi scoperte scientifiche e geografiche, al contrario l’Islam, fino all’Ottocento, ignorava la scoperta dell’America.
All’Islam che vorrebbe riportarci all’oscurantismo e al dispostismo, al culto delle teste mozzate e della donna relegata in schiavitù, dobbiamo dare la risposta che merita. Tolleranza zero. Il sottoscritto sta con quelli che hanno deciso di difendersi dall’orda barbarica. E se per caso agli islamici che vivono in mezzo a noi da nemici non sta bene, a casa.
(da “Il Federalismo”, anno 2004, direttore responsabile Stefania Piazzo)