di RICCARDO POZZI – Il prof Luca Ricolfi diversi anni fa pubblicò un libro che fece molto arrabbiare la parte politica a cui lui stesso ha sempre dichiarato appartenere.
Nel suo “Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori” edito da Longanesi nel 2005, descriveva la strana sindrome che andava, già a quel tempo, impossessandosi della sinistra quando doveva rapportarsi all’avversario politico e cercare di convincere gli elettori della bontà delle proprie tesi.
Ovvero quella profonda sensazione che consiste nel sentirsi intimamente e intrinsecamente migliori degli altri. E chi si sente migliore, soprattutto se non vuole ammetterlo con sé stesso, tende a ad essere esclusivo nei confronti della gente e, in fondo, a non sentirsene parte.
Fare una affermazione come questa al Berlusconi di turno non è certo un offesa, certo che si sente migliore, lo è per diritto divino. Ma per chi aspira a rappresentare la gente che lavora e gli strati più bassi del popolo non è un gran dote.
In una vecchia quanto accesa discussione, un sagace e sarcastico amico imboniva un gruppo di sbuffanti e impettiti illuminati dell’ex PCI, tutti con barba d’ordinanza e letture regolamentari sottobraccio, spiegando loro che l’autorevolezza rappresentativa loro e del loro partito era destinata a scemare per un fenomeno scientifico già ampiamente studiato e denominato “La curva di Allen”.
Spiegò, infatti, ai malcapitati che a mano a mano che andava esaurendosi la capacità di immedesimarsi nei bisogni di chi lavora (che lui collocava sulle ascisse) parimenti diminuiva la loro credibilità politica (ordinate) fino a che la curva avrebbe oltrepassato lo zero e avrebbe invaso il campo della destra. Inevitabile.
Le preveggenti tesi del vecchio amico andarono oltre ogni aspettativa. Gli infastiditi spettatori di quella dimostrazione divennero tutti frequentatori delle ZTL con redditi alti, abiurarono la falce e martello per divenire moderni liberal, dalla colta tolleranza antifà.
L’amico, invece, molto tempo dopo mi confessò la natura cialtronesca di quella dimostrazione scientifica. La curva di Allen altro non era che la metafora sceneggiata della filmografia di Woody Allen, notissimo per le posizioni progressiste di indiscutibile sinistrismo est-coast.
I personaggi dei suoi film erano e continuarono ad essere solo colti scrittori, psicologi, attori, artisti, architetti, editori, galleristi, professionisti, scienziati, letterati e tutti, ma proprio tutti, sempre e invariabilmente benestanti. Non puoi fare l’amico del popolo sempre restando nella tribuna dei vip.
Ciò che succede in USA dopo pochi anni arriva qui, mi confessò ridacchiando il sagace amico quando, con soddisfazione, tempo dopo vide che il libro del prof. Ricolfi aveva dato consistenza scientifica alla sua antica e buffonesca “curva di Allen”.