A Firenze in 50mila in piazza con la Lega, pezzi di Forza Italia (Toti) e con Fratelli d’Italia. Per il No al referendum e per sondare il polso alla leadership di Matteo Salvini.
Si può dire che nulla è più come prima? Forse. Anni fa ci si interrogava sul perché il Pd non vincesse al Nord. La sua vecchia classe politica non comprendeva la questione settentrionale, si diceva. Eppure, oggi, senza mai aver tirato fuori questo arnese territoriale, è diventato padrone di casa dove un tempo egemoni erano altri. Per ambizione o per alleanza.
In altre parole, è vero che la Lega non è morta, che non smette di sorprendere, ma un’era è finita, soprattutto nel centrodestra.
Siamo sempre del parere che chi vince al Nord governa. E’ sempre stato così, solo che oggi l’ordine dei fattori si è invertito: ieri Berlusconi parlava a operai e imprenditori con lo stesso linguaggio. Poi lo ha fatto Renzi, e il risultato è lo stesso: vincere.
Il centrodestra ha perso il Piemonte. In Lombardia ha vinto la Lega, ma non ci è accorti del cambiamento. In Veneto Zaia brilla di luce propria, ha la stoffa per governare qualunque cosa. Ma intanto l’asse macroregionale che doveva staccare il Nord da Roma è diventato un’iperbole crozziana punita in cabina elettorale.
Nel 2009, circoscrizione Nordovest, il Carroccio era al 19,3% con 1,6 milioni di voti contro l’11,7% e 933mila voti del 2014; al Nordest era al 19% con 1,2 milioni di consensi contro il 9,9 attuale e 565mila voti. A Milano alle ultime amministrative peggio di così non poteva andare: 59mila voti, con Forza Italia che la doppia. L’11,7% contro il 20,2% di Berlusconi, che Salvini dava per morto.
L’interlocutore del centrosinistra è ancora Forza Italia o semmai è Salvini? Chi è il dominus del centrodestra? Intanto anche senza agitare le ragioni del Nord, il Nord ha votato Pd e consacra il corso del cambiamento virtuale, come credito per essere tirato fuori dalla crisi del troppo: troppe parole, troppe promesse, troppe tasse, troppi sogni, troppe fregature, troppi figli, troppi tira e molla, troppo di tutto.
La Lega resta lo zoccolo duro, può andare da qui in avanti all’incasso del fare opposizione. Ma perché un giovane oggi deve votare Lega anziché 5Stelle? Perché deve scegliere un partito che ambisce a diventare nazionale? E come si muoverà il centrodestra? Diviso, alleato? Con quale leader? E l’anima indipendentista del Nord con tutte le sue ragioni schiacciate dal neoleghismo nazionale, dove troverà una patria politica? Sarà nella casa comune della Lega?
Ci eravamo già chiesti, in tempi non sospetti, se esista sulla piazza di governo “un soggetto politico in grado di parlare la lingua del Nord, di incarnarne il tormento sociale, di coglierne il senso, gli umori persi nella nebbia, nella pancia. O la questione settentrionale resterà irrisolta ancora una volta, bella, affascinante ma seppure addormentata, ancora incompiuta, ingabbiata da promesse tattiche?
Chi è l’interprete di una rappresentanza disorientata dalla crisi, dalla libera uscita sui temi etici, come se il territorio fosse una matrioska economica e il resto non ci interessa? Marco Alfieri con il suo “Nord terra ostile. Perché la sinistra non vince”, ripercorreva nell’indigestione del linguaggio della vecchia sinistra l’incapacità della nomenklatura di avvicinare senza paraventi ideologici imprese e operai, che sono sulla stessa barca”.
A distanza di anni, la questione è irrisolta, ma la rabbia viene ingabbiata dalla nuova democrazia cristiana di Renzi, un po’ da Grillo e il resto dalla Lega. Per quanto? Il Nord orfano per troppo tempo di leader ha visto rialzare la testa all’ex Cav, mentre si avvicina il congresso della Lega Nord. Risentiremo i soliti amarcord? Basta Firenze vestita a verde padano per intravedere un cambiamento epocale?