Il Nord non sa disobbedire. Perché non ha studiato abbastanza

di STEFANIA PIAZZO –  Carto Arturo Jemolo, alla vigilia del ’46, prima della Costituente, pubblicava il librettino “Che  cos’è la Costituzione”. L’ultimo paragrafo s’intitola ”Pensare, studiare, avere idee chiare’”.

Leggiamo: «Aver fiducia negli uomini che saranno eletti…  è bene; ma non sarebbe saggio rimettersi completamente al loro valore, senza aver prima considerato e studiato ogni singolo problema; ogni legislatore dev’essere guidato, sorretto, confortato dalla coscienza del suo popolo». Sì. La coscienza del popolo è la guida di ogni riforma.

Non consideriamo lo Stato una nuova forma di religione, con la sua burocrazia e il potere dei parassiti da difendere, con chi ha il potere.

Ma andiamo avanti di qualche decennio…

Scriveva Miglio che  “Declineranno, una dopo l’altra, tutte le grandi strutture istituzionali che hanno caratterizzato, nel corso dei secoli, il nostro paesaggio politico”.

“I popoli liberi – scriveva Miglio in “Disobbedienza civile” – sono quelli che si permettono ogni tanto di ribellarsi: che non temono di impugnare le decisioni del loro governo, ma che tornano poi ogni volta a rifondare, con più solida persuasione, l’ordinamento in cui vivono».

E così la Dichiarazione d’indipendenza – Americana (!): «Ma quando una lunga serie di abusi e usurpazioni, invariabilmente diretti allo stesso oggetto, svela il disegno di assoggettarli ad un duro dispotismo, è loro dovere abbattere un tale governo e procurarsi nuove garanzie per la loro sicurezza futura»

Oggi il patto fiscale si è rotto da Nord a Sud, il fordismo tradizionale è finito, e il lavoro autonomo non sa più quale sia la rappresentanza che lo rappresenta. La delega un tempo ai vecchi partiti e a quelli che si dicevano nostri liberatori, oggi è alla ricerca  di una casa comune. La politica è trovare le ragioni per fare battaglie comuni…

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