di STEFANIA PIAZZO – Non c’è una questione Nord-Sud, anzi. Lo sentiamo dire oramai da un anno circa da Matteo Salvini. I problemi del Paese ve li risolviamo noi tutti insieme, Nord e Sud insieme. Peccato che Piero Bassetti, primo governatore lombardo, e lo storico Giorgio Rumi, di questione settentrionale ne parlavano chi 10 e chi 25 anni fa su giornali non eversivi come Famiglia Cristiana e l’Osservatore Romano. Spiegavano cioè che era una risposta inevasa, un deficit della politica, addirittura, si legge in una recensione ad un’opera dello storico scomparso di recente, di una “questione occultata dalla politica”. Occultata? E in cambio di cosa? Posti? Nomine? Un seggio alla Camera o al Senato?
Vediamo, andando per ordine. Prima Bassetti e poi Rumi.
La lezione di Piero Bassetti
Stato, c’è chi dice sia anche un participio passato, che la sua immutabilità nella grammatica costituzionale garantisca la permanenza delle stesse regole del gioco. Questa immagine di potere lessicale, venne ricordata dal primo presidente di una vitale regione del Nord e riannoda i fili del discorso pre e post referendum confermativo sulla devolution. Su un settimanale nazionalpopolare distribuito dalle edicole, nelle parrocchie e all’interno delle nostre chiese, Famiglia Cristiana, nel giungo 2006 disse il già governatore Piero Bassetti: “E’ sbagliato non comprendere che questo stato è vecchio perché immutabile, portatore di costi e inefficienze. I settentrionali non credono nella ricostruibilità di questo stato”.
Al Nord l’economia industriale già da quegli anni era diventata l’economia della conoscenza, convinti che la propria vita non la debba fare e decidere lo stato. Almeno questo stato così organizzato che trascina dietro sè il peccato originale di una finanza che dagli anni ’70 in poi ha segnato i peggiori delitti a danno del territorio. Doveva essere l’era delle Regioni, invece…
Ricordate? Tolsero prima ai Comuni la leva fiscale: via la tassa di famiglia, via l’imposta generale sulle entrate. Per gli enti locali scattò la corsa al mutuo, i più virtuosi riuscirono a contenere le spese ma non andò così per tutti gli altri. Morale?
Si pensò bene di sostituire i tributi soppressi con i trasferimenti statali. Tra ’76 e ’77 con i decreti Stammati, i debiti comunali vennero “ripuliti” e posti a carico dello Stato, che s’impegnava a finanziare la differenza tra la spesa riconosciuta definita “storica” e il gettito delle entrate dei bilanci comunali.
In base alla spesa storica dichiarata dagli enti locali, lo Stato trasferiva i nostri soldi. Passò poi persino il principio per cui lo Stato pagava e basta. Insomma, nessun principio di perequazione fiscale né di responsabilità della spesa. “Se io non pago le tasse, ci pensa poi lo Stato”.
Pescando da quali regioni?
Sono gli anni in cui la spesa pubblica cresce senza freno, alimentando l’assistenzialismo.
L’egoismo centralista ha fatto riesplodere la questione settentrionale, l’insofferenza di una popolazione sottomessa ad un terzo mondo fiscale.
Ancora oggi l’Italia ha atteggiamenti diversi nelle sue diverse latitudini regionali nella propensione a pagare le tasse e a dichiarare il profitto. E’ un modo di essere che affonda le proprie radici nelle libertà comunali, prototipo di autonomia fiscale, legislativa, di difesa delle regole economiche, del commercio, degli scambi, delle arti, dei mestieri, delle invenzioni, delle università.
Tutto viene da lì, dall’uomo moderno che si smarca dalle grandi contrapposizioni di potere, che difende la propria identità territoriale e religiosa.
Cosa è rimasto di questo al Nord? Nulla, solo avanzi. Il cittadino nato da quella prima questione settentrionale, che chiedeva di versare meno tasse al tiranno e di essere padrone a casa propria, liberando le energie del progresso, non c’è più e, se c’è, vive in Svizzera. Il Nord è una succursale del Centro-Sud, il Centro-Sud è una succursale di Roma. E i partiti? Sono tutti uguali, un colpo al Nord e un colpo al Sud, come fa da sempre la sinistra, la destra e da un pezzo anche la Lega.
La lezione di Giorgio Rumi
Sono lontani i tempi in cui l’Osservatore Romano, a firma dello storico Giorgio Rumi, non a caso cattolico ambrosiano, scrisse nel giugno del 1990, riconosceva la persistenza della questione settentrionale, interpellando le istituzioni ad affrontarla.
E’ stata affrontata, risolta, dopo 25 anni? Non pervenuta.
Diceva lo storico al quotidiano la Padania: “Ma lo si vuol capire o no che l’Italia non può essere considerata una camicia di forza (…). Tutto va bene, a patto che la risposta alla questione settentrionale del Nord sia politica (…). Basta che si diano una mossa”.
Ancora oggi, invece, diversi accademici pensano che il Nord sia una leggenda, ma se lo pensa la Lega, diventa un problema, serio. Risolverà Salvini i guai dell’acquedotto di Messina? Ne dubitiamo.
I voti dicono che le regioni centro-meridionali premiano in consensi il rendimento dell’intervento pubblico sia dove funziona (nelle regioni rosse) che dove non funziona (in meridione). E’ il culto della spesa storica. Dove sono forti le richieste di autonomia, di non assistenza, è chiesta invece una forte spinta di modernizzazione.
E’ una diversa qualità del consenso, bisogna tenerne conto, oltre al fatto che oggi il cittadino elettore cerca onestà più che nuove promesse e terre promesse.
Nel recensire gli scritti storici sul Nord di Rumi l’Istituto storico per l’identità nazionale scriveva, a firma di Oscar Sanguinetti, “di quella “questione settentrionale”, intrisa di federalismo mancato e di opzione “romana” che affligge il nuovo Stato”, e sullo scritto Questione meridionale e questione settentrionale nella riflessione dei vescovi italiani, pp. 589-600), vi era ” non solo l’occasione per ripercorrere lo status quaestionis della Questione Meridionale, ma anche per parlare di una Questione Settentrionale, cioè dello sbilanciamento nello sviluppo fra le due aree e la consueta penalizzazione del dinamismo del Nord, che la storia ha creato e che la politica ha occultato”.
Esatto, questione occultata.