di RICCARDO POZZI – Aveva poco più di trent’anni, Fatima, con i suoi capelli ricci e due file di denti bianchissimi, quando in quella mattina appena nata spalancò di colpo la finestra della sua casa di una piccola frazione nel basso mantovano. Con lei c’erano la figlia e un nipotino, figlio della sorella Zaira.
Lo scuro di legno quando sbatté sul muro fece un rumore che sembrava una schioppettata.
Fatima rimase per una frazione di attimo sorpresa, capì istantaneamente che quella lunga colonna di soldati che lei voleva salutare dalla finestra non erano americani, ma tedeschi e italiani in fuga.
Non le bastò quell’attimo per capire che qualcuno si era spaventato allo sbattere dello scuro e aveva il fucile carico e imbracciato.
Un battito di ciglia e Fatima fu raggiunta da una schioppettata vera che spense il bianco dei suoi denti di trentenne.
L’amministrazione comunale di Bagnolo San Vito non dimentica mai di deporre in località Campione una piccola composizione floreale sulla lapide che ricorda quella mattina.
“Uccisa dal tedesco invasore”, recita la scritta sul marmo.
In realtà, come scoprì da adulto il nipotino che aveva assistito alla sua morte, a ucciderla non fu il tedesco invasore ma il fascista confuso e impaurito.
Glielo confessò con lo sguardo basso e la vecchiaia che, avanzando, gli stava probabilmente suggerendo di liberarsi da quel ricordo ingombrante.
Confessò anche, come per sottolineare proprie attenuanti, che anche lui subì per anni vendette a diverse gradazioni di meschinità, da nemici personali che utilizzarono il cambio di casacca per coprire ritorsioni che poco avevano di politico.
Il nipotino adulto di Fatima, figlio della sorella Zaira e mio papà, mandò un bacio alla giovane zia e poi voltò pagina. Capì che occorreva andare oltre e guardare avanti. Non è caduta in disuso, invece, l’abitudine di considerare le armi come una soluzione. In questo occorre essere estremamente attenti.
Chi, infatti, ne evoca sistematicamente l’utilità, in genere, le fa sempre usare agli altri.