Il disastro dell’abolizione delle Province. Rizzi: al loro posto la politica ha rimpiazzato altri 1000 nuovi enti

di Monica Rizzi – Avevamo ottenuto province importanti, come Monza e Brianza, una potenza di fuoco che produce più risorse e lavoro di una media regione del centro Italia. Scuola, strade, viabilità…. avevano competenze chiave, le province, ma la furia distruttrice di chi vuole semplificare, risparmiare, ha disarticolato il territorio abolendole. Anche se sono formalmente rimaste in rianimazione.

Tanto che la Fondazione Openpolis in un ultimo report ha dedicato un dossier titolandolo: “Province, terra di nessuno”. Un titolo azzeccatissimo.

Oggi abbiamo 76 province nelle regioni ordinarie, 14 città metropolitane, 6 liberi consorzi in Sicilia, 4 province in Sardegna, 4 ripartizioni in del Friuli Venezia Giulia. In Valle d’Aosta e e Trentino Alto Adige  le funzioni provinciali sono svolte rispettivamente dalla regione e dalle 2 province autonome di Trento e Bolzano.

Oggi non sono più i cittadini a votare ma 101 mila rappresentanti tra sindaci e consiglieri comunali che scelgono chi fra loro sarà consigliere provinciale e presidente di provincia.

Qual è il punto? I numeri spiegano l’arcano. Hanno tagliato 5 miliardi di euro di trasferimenti statali l’anno, ma le competenze sono rimaste.

“Ciò ha portato ad una riduzione dei servizi e soprattutto negli investimenti (ad esempio infrastrutture di trasporto -65%). Anno dopo anno infatti si sono stratificati sempre ulteriori e maggiori decurtazioni ai danni delle province”, scrive Openpolis.

Eppure sono 5.179 gli edifici scolastici in gestione alle ex province. E il 41,2% è in zone sismiche.

M a si tagliano i fondi, ovviamente.

Nel frattempo ci sono 1.000 enti nati per aiutare i comuni nella cogestione dei servizi.
“Dieci anni di campagna per abolire un centinaio di province ha prodotto un numero di enti dieci volte maggiore. Il caos istituzionale”.

L’antipolitica ha fatto più danni della politica.

“Questa mentalità “anticasta” ha avuto conseguenze di non poco conto. È rimasto in vita un ente con competenze fondamentali senza una guida politica chiara, che sia messa in condizione di fare gli interessi del suo territorio. È venuta meno la legittimazione data dall’elezione diretta. Il presidente non ha più una squadra operativa su cui contare, assessori a tempo pieno cui affidare le diverse materie. Deve lavorare in solitaria, delegando responsabilità fondamentali a consiglieri a mezzo servizio”.

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