di Nicola Busin – La Prima Internazionale fu fondata nel 1864. Le teorie socialiste si svilupparono velocemente e contestualmente nacquero grandi organizzazioni in difesa dei lavoratori non più limitate agli ambiti nazionali. Il 28 settembre 1864 a Londra fu fondata l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL) meglio nota come Prima Internazionale. In essa confluirono molteplici tendenze: dai mazziniani italiani, ai discepoli di Blanqui e Proudhon, agli anarchici, ai sindacalisti inglesi. Karl Marx fu l’ideologo della nuova associazione: i lavoratori dovevano liberarsi da soli dalla sottomissione padronale, impadronirsi dei mezzi di produzione e dar vita a una collaborazione internazionale contro la guerra. Da quel momento nulla sarebbe stato come prima e il socialismo con il comunismo poi avrebbero per 130 anni creato una rivoluzione culturale, politica ed economica che condizionò in modo universale la storia dell’umanità.
Contestualmente a questa rivoluzione culturale la penisola italica era scossa dai moti risorgimentali unitari che in realtà si rivelarono solo come la frenesia di grandezza e potere di casa Savoia. Difatti il pur piccolo regno di Sardegna con l’aiuto di Inglesi, Francesi e della massoneria internazionale che aveva in Garibaldi uno dei capi più importanti, riuscì con la forza e l’inganno ad ampliarsi in tutta la penisola. Significativo ricordare che il primo re d’Italia fu Vittorio Emanuele “secondo”, tanto per far valere la casata e non il territorio.
In questo contesto le masse erano disattente ai temi identitari del popolo di appartenenza in quanto predominavano le questioni legate all’assetto sociale, alla lotta del proletariato contro il padronato. Unito a ciò il comunismo osteggiava la fede religiosa, come ricorda Marx in una delle sue critiche: “La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo.”
La società mondiale divisa quindi sostanzialmente tra atei comunisti che desideravano la dittatura del proletariato, la grande borghesia che desiderava imporre il dominio del capitale e del profitto e il blocco dei cattolici che pur osteggiando il comunismo e il capitalismo accettavano alcuni aspetti di entrambi i blocchi. I cattolici ad ogni modo già a partire dal 1868 ebbero indicazione del “non expedit”, in pratica di evitare di partecipare alla vita politica per varie ragioni. Solo nel 1919 le indicazioni cambiarono e nacque il Partito Popolare che ebbe vita breve in quanto fu forzatamente sciolto nel 1926 in epoca fascista.
Da una parte la rivoluzione russa, dall’altra la nascita dei totalitarismi in Europa crearono due blocchi contrapposti. Dopo la fine della seconda guerra mondiale i blocchi diventarono ancor più antagonisti, da una parte il capitalismo dall’altra il comunismo, innescando la cosiddetta guerra fredda.
In Italia dopo il fascismo nacque la repubblica che però nella sua carta costituzionale ragionò ancora in termini risorgimentali con retaggi legati al fascismo ed il mito della grande Italia una e indivisibile. Non c’era però tempo per ricerche identitarie, o si sceglieva la strada del comunismo o quella del capitalismo moderato in salsa cattolica. E la Democrazia Cristiana divenne per 45 anni il partito di riferimento e di governo, sempre in forte contrapposizione con il partito comunista. In estrema sintesi fino al 1990 le scelte erano quasi imposte: o democristiani o comunisti; da evidenziare che il PCI era il più grande partito comunista europeo occidentale. Pertanto fino al crollo del muro di Berlino nel 1989 le popolazioni non erano libere ma in continua contrapposizione su temi ideologici, sul significato stesso della libertà; non esistevano tanto francesi, tedeschi, catalani o veneti ma il blocco comunista ed il blocco neo capitalista cristiano.
Come tutte le rivoluzioni culturali il periodo di passaggio da un sistema ad un altro richiede una sedimentazione degli eventi che permetta a tutti gli strati della popolazione la presa di coscienza di questi cambiamenti. Di conseguenza il crollo delle grandi ideologie che nel bene e nel male hanno plasmato la società porta a rivedere con occhi nuovi il significato di popolo inteso come insieme di genti che hanno in comune una storia, una lingua, una cultura, dei territori, delle usanze. Popoli quindi liberi di scegliere il proprio futuro che non può essere imposto da altri soggetti se non espressione dei popoli stessi. I Catalani, i Veneti, gli Scozzesi e tanti altri sempre più coscienti della loro identità, fieri di essere gli eredi di grandi popoli.
In particolare i Veneti sempre più consapevoli delle proprie peculiarità, di aver creato una organizzazione sociale, economica e produttiva d’avanguardia, abituati come un tempo a confrontarsi proficuamente con il mondo intero. Questa Popolazione sente sempre più illegittima la forzata appartenenza allo stato italiano, un atto di prepotenza del governo romano solo capace di un rapace prelievo fiscale del tutto assurdo. Tutta questa enorme ricchezza sottratta è destinata ad incrementare un parassitismo in Italia che non ha pari nel resto del mondo e provoca ampio dissesto nel mondo economico produttivo perchè toglie spazi competitivi. In questa situazione la rilettura storica dell’entrata delle Venezie nel regno sabaudo, avvenuta nel 1866 con un plebiscito truffa, crea ancor più sconcerto a quanti consapevolmente rifiutano questa Italia imposta con la forza contro gli stessi popoli che ancora la abitano.
Unica soluzione plausibile e sensata anche per evitare future derive violente è una riscrittura della carta costituzionale che trasformi questa repubblica forzatamente unita in una repubblica confederata in cui i vari popoli e territori abbiano ampia capacità di autogoverno, limitando a poche le competenze nazionali e riducendo significativamente il trasferimento solidale di ricchezza da un’area all’altra. In ogni caso il buon fine di questa solidarietà dovrà essere verificata da chi dona tali risorse.
Stiamo vivendo un’epoca bellissima finalmente libera dalle grandi ideologie che hanno condizionato pesantemente la vita dei popoli. L’unico futuro di libertà delle popolazioni sarà quello di poter decidere consapevolmente il proprio domani, conoscendo le risorse disponibili, nel rispetto dei diritti civili per ogni individuo, fieri del proprio passato ma proiettati in un avvenire senza catene che limitino pesantemente lo spirito intraprendente.
Siamo convinti che è solo dalla sana competizione tra i vari territori, tra i vari popoli che potrà svilupparsi ulteriore benessere. Perché come è sempre stato e come sarà le genti si spostano dove maggiore è la richiesta di lavoro, dove maggiore è lo spirito imprenditoriale. Mantenere in modo parassitario le persone a casa loro alla lunga crea il dissesto totale di quel territorio non più competitivo e destinato ineluttabilmente al declino, alla desolazione.
Il panorama politico italiano è desolante, con governi succubi delle teorie mondialiste e della globalizzazione ad ogni costo che pur queste ormai sono diventate le nuove ideologie. Da tener presente che l’anima della strategia mondialista è a Wall Street e presso le holding, le broker house, i grandi Fondi Comuni di Investimento, i Pension Found, le grandi banche internazionali etc.
In particolare sarebbe presso la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), organismi a scala mondiale in grado di controllare i flussi finanziari internazionali che riguardano le più importanti decisioni economiche del pianeta.
Lo studioso liberista Hans-Hermann Hoppe, in un suo recente saggio scrive: “L’integrazione politica comporta maggior potere per uno Stato di imporre tasse e regolare la proprietà mentre l’integrazione economica rappresenta un’estensione della divisione interpersonale e interregionale della partecipazione al lavoro. Come può dunque la liberalizzazione degli scambi comportare un aumento della centralizzazione, considerando che in linea di principio tutti i governi riducono la partecipazione al mercato e la formazione della ricchezza economica?
… nel confronto tra integrazione forzata e separazione volontaria, ci sono ragioni a favore della seconda … . I piccoli paesi sono naturalmente portati a scegliere il libero mercato anziché un’economia statalizzata ed inoltre la compresenza di tanti diversi stati sul territorio di un vecchio stato-nazione li pone in naturale concorrenza poiché i loro governi, per evitare di perdere la parte più produttiva della popolazione, sono spinti ad adottare politiche interne più liberali.
Finalmente, poiché adottando un regime di libero scambio illimitato, persino il più piccolo dei territori può pienamente essere integrato nel mercato mondiale e usufruire di tutti i vantaggi della divisione del lavoro, la liberalizzazione degli scambi risulta inseparabile dall’autonomia”.
Ecco alle teorie della globalizzazione forzata di tutti i territori nate dalle ricche élite intellettuali può contrapporsi non un’altra ideologia, semplicemente può raffrontarsi il desiderio di libertà dei popoli capaci di decidere da soli, capaci di autogoverno e di mantenere un ambiente sociale e culturale plasmato in tanti secoli che ha garantito pace e benessere per tutta la popolazione.