I vergini a vita della sinistra

La sinistra nel caos delle divisioni, delle inchieste collaterali… Banche, centrali acquisti… Ma in passato che accadeva? Proponiamo ai lettori un’inchiesta che aprì alcuni cassetti segreti sui numeri che circolavano dalle parti delle allora Botteghe oscure. Era il 2006, l’inchiesta venne originariamente pubblicata da Stefania Piazzo sul quotidiano la Padania 9 anni prima ancora. Sono passati 20 anni…. Buona lettura!sinistra soldi 4

di STEFANIA PIAZZO – Anche dieci anni fa, quando si chiamavano Pds, i Ds non ave-vano conti vergini. Cambiano i nomi dei soggetti, delle banche, ma la sostanza resta (assieme al nome, a quel tempo, dello stesso dimissionato governatore di Bankitalia, ndr). Allora erano 502 i miliardi di vecchie lire (bruschette, diremmo oggi) che partito ed editoria di partito dovevano al sistema bancario. Con sconfinamenti generosamente concessi. Solo quell’anno e solo verso il Bottegone una banca romana vantava 186 miliardi, dei quali 63 oltre i fidi concessi.
I tabulati della centrale rischi della Banca d’Italia dicono questo. Non spiegano se si sia trattato di un regalo, di un finanziamento più o meno illecito. Chissà. I tabulati dicono anche che il Pds ricevette finanziamenti anche per altri 66 miliardi, di cui
quasi il 40% dalla stessa banca romana ami-ca… E via discorrendo. Un quotidiano, due anni dopo, pubblicò in prima pagina e in bella evidenza tutta l’architrave del meccanismo ma non scoppiò nessuno scandalo.
Nessuna querela, neanche una difesa d’ufficio. Il silenzio, l’indifferenza anche dell’altra stampa italiana, archiviò lo slancio dell’inchiesta. Nessuna indagine sulle tombole di partito. Nessuna perdita di credibilità per la banca che poi qualche
grave problema di bilancio dimostrò di averlo. Tutto a posto, il Paese è normale. Era il 1996, se avete le carte degli anni successivi o di quelli precedenti, fatevi avanti. Ma a noi basta per capire la solfa. Insomma, con la P o senza la P, Pds, Ds o Pcccc a sinistra non hanno perso l’abitudine di entrare in banca.

Se ammettessero, una volta per tutte, che la politica costa, che le scalate sono care, che per fare propaganda non bastano le salamelle, ma ci vogliono capitali, e la smettessero, come d’altronde tutti gli altri politici, di dichiararsi vergini a vita, ammettendo che le banche in Italia servono anche per fare politica, forse risulterebbero più credibili e quasi simpatici. Ma siccome continuano a ostentare la purezza della razza rossa, a noi cittadini girano le scatole. Solo la Madonna può fregiarsi del titolo di Vergine, non Fassino, non D’Alema, non Prodi, non Berlusconi, nessuno, insomma. Neanche gli ex democristiani che escono, per ora, senza sfregio da questo tormentone dei conti correnti.
Adesso a Bankitalia arriva il nuovo governatore a tempo determinato. Un Co.co.co. di provata esperienza, che deve dare prova di dragare il sistema dalla melmetta in cui naviga. Non riusciamo a pensare ad altre immagini se non a quelle di una finanza dragata. E alle prime suggestive macchine idrauliche per dragare inventate da Leonardo. Quand’era al servizio della Repubblica di Venezia, si occupò non solo dell’acqua da togliere ma anche di quella da aggiungere, per necessità!
Per l’incombente minaccia dei turchi che avevano invaso il Friuli, studiò il per-corso dei fiumi veneti, ideando un serraglio mobile sull’Isonzo a Gorizia, per elevare il livello del fiume e provocare l’allagamento della pianura padana in caso di
occupazione. Siamo convinti che i padani non te-merebbero un piano del nuovo governatore per arginare i pirati-califfi.

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D’altra parte il genio pensava, dopo la peste, a una città ideale, senza vicoli e case strette, bensì costruita accanto a un fiume, perché le acque erano sinonimo di pulizia, di argine all’isolamento, di comunicazione. La finanza finita nel fondo del fiume oggi va dragata, va presa per la testa e tirata su, perché ha bruciato le risorse e truffato la gente, perché si è drogata di ambizioni borsistiche col pretesto, un giorno, di fare gli interessi dei soci cooperatori, dei lavoratori, dei piccoli azionisti, degli imprenditori. Ora però basta. Abbiamo capito che gli onesti sono pochi, sono rari, sono un titolo non quotato. Detto questo, il 9 aprile non si voterà in base a chi ha preso di più o di meno, ma secondo i pro-grammi, le cose fatte. Le cose percepite, le cose ben spiegate. L’altro giorno l’amico Giancarlo Pagliarini, entrando nella nostra redazione, mi consegna un foglio datato 4 maggio 1996. Cosa c’è di così curioso nel pezzo di carta del Paglia? Era una sua nota nel corso
dei lavori di quello che un tempo era il Parlamento di Mantova. Pensate che quei barbari, quando gli altri partiti dragavano potere dai con-ti delle banche, si preoccupavano di capire cosa sarebbe accaduto con la fine dello Stato nazione e l’emergere
delle economie regionali, come recita papale il testo che pubblicò ai tempi Baldini e Castoldi. Scriveva il Paglia: «È un libro molto utile per capire la rivoluzione economica in atto nel mondo e per valutare il rischio di recessione (e di disoccupazione, e di scomparsa dello Stato sociale, e di caos economico, ecc.) che l’Italia dovrà fron-teggiare se non riusciremo a essere competitivi nel “mercato globale”. Ma per riuscirci dobbiamo assolutamente cambiare la struttura amministrativa e
l’irrazionale utilizzo delle risorse del nostro Paese».
E si legge infatti nel libro che «…gli Stati-nazione non detengono più quella fonte apparentemente inesauribile di risorse alla quale erano soliti attingere impunemente per finanziare le proprie ambizioni». A meno che non ci sia sant’Opa. Si leggeva, con precisa lucidità, che «le aziende occidentali che, ad esempio, stanno attualmente inse-diandosi in diverse zone della Cina e dell’India, hanno scelto quelle aree per-ché lì si trova il futuro dell’economia, e non perché lo Stato che le ospita abbia improvvisamente prospettato qualche allettante facilitazione». Ma l’apice si tocca qui: «Questa ascesa lungo la scala dello sviluppo, però, non ha nulla a che fare con la cultura, mentre è strettamente legata alla capacità di una data regione di scegliere le politiche, le istituzioni e le infrastrutture giuste al momento giusto».
Toh, è la Devoluzione. Siamo sicuri che non basti avere un po’ di memoria giornalistica in più e qualche buon libro letto per non poter prevedere il futuro? Sta tutto già scritto.sinistra soldi3

da il settimanale Il Federalismo, 23 gennaio 2006

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