“Andavano col treno giù nel Meridione per fare una grande manifestazione il ventidue d’ottobre del ‘Settantadue…”
Attaccava così una ballata di Giovanna Marini, fiera cantora del comunismo sanguigno e militante degli anni settanta. Il sindacato d’allora puntava il dito, il braccio e altri attrezzi verso la politica per il mezzogiorno, vuota e predatoria della DC. Puntava tutto sulla lotta di classe e sembrava non si accorgesse nemmeno che solo lo stato investiva nell’industrializzazione del sud e che, prima o poi, da quella industrializzazione forzata si sarebbe ritirato.
Oggi, dopo quasi mezzo secolo, il sindacato a ranghi serrati si è presentato ancora a Reggio Calabria per una nuova, grande manifestazione unitaria contro le politiche del governo.
E oggi, come tanti anni fa, il sindacato italiano ha mostrato tutti i suoi ritardi culturali recitando ancora la vecchia litania della mancanza di investimenti al sud.
Eppure gli ultimi cinquant’anni hanno visto fallire, una dopo l’altra, ogni iniziativa industriale imposta nel mezzogiorno dall’alto, come si impongono le tasse a chi le paga e i candidati a chi deve votare.
La chimica, la siderurgia, l’automobile, niente ha resistito perché niente attecchisce se il terreno non viene preparato.
Tocca citare di nuovo il lavoro di Robert Putnam, il quale nei suoi più celebri saggi sulla situazione italiana non si stancò di ripetere che il sud Italia non aveva e non ha bisogno di capitale economico ma di capitale sociale, di quella fiducia relazionale che fece la differenza all’inizio del novecento tra le prime cooperative di lavoro in Emilia e la resistenza dei potentati familistici del meridione.
Ma la leader della CGIL, oggi come cinquant’anni fa, ha ripetuto il vecchio, stantìo errore della sinistra italiana, quello di non vedere le responsabilità territoriali.
E come Cavour pensava di omologare il suditalia immergendolo nelle moderne strutture statali del Regno del Piemonte, così il PCI e le sue propaggini sindacali hanno pensato che il sud si sarebbe riscattato dal proletariato con forti investimenti pubblici e una industrializzazione forzata paracadutata da Roma di concerto con la prima fila di Confindustria.
Niente da fare. Dei sociologi è facile prendersi gioco ma Robert Putnam aveva e ha ragione. Le piogge di denaro pubblico per il sud, con qualunque nome si presentino, sono sempre inutili e controproducenti.
“La questione settentrionale non esiste”, sentenziò D’Alema qualche anno ante Renzi, mandando in castigo tutti i Cacciari, i Chiamparini e i Penati che cercavano una terza gamba al tavolino delle riforme federaliste di questo strano paese.
Complimenti. A voi quella meridionale, spiegatelo voi ai lavoratori del sud il perché non c’è lavoro e alternative al pubblico impiego.
Con i migliori auguri.