di STEFANIA PIAZZO – Tempo fa il ministro del Lavoro Di Maio come primo atto del suo percorso, volle incontrare i rider, quei “figli di nessuno” che con dignità, senza tutele, spesso senza contratti, in modo precario, senza paga minima dignitosa, portano a casa in bicicletta pranzi, cene e pizze calde a chi ordina online sulle piattaforme delle multinazionali del food. Poi si dimenticò di loro.
Tempo fa leggevo su un grafico pubblicato sul Corsera, che la paga media oraria si aggira tra i 12,50 e i 12,80 euro l’ora. Ma sappiamo che è anche meno. E che se non hai un contratto, chiaramente non hai ferie, non hai malattia. Sei un cottimista 365 giorni l’anno.
Inutile dire che questa plastica rappresentazione del rider oggi incarni pelle su pelle quella del giornalista non contrattualizzato. Manca solo la bicicletta (noi ci mettiamo il computer), ma le condizioni sono le medesime E non accettarle vuol dire perdere anche quello che ti sei conquistato come una cozza sugli scogli. L’altro giorno una collega di lungo corso mi ha confessato di essere stata retribuita 2-3 euro per ogni pezzo pubblicato su un quotidiano online. I più fortunati anche 5 euro a pezzo. Mi sono guardata allo specchio e mi sono detta che io sono una persona fortunata. Perché seppur senza un contratto, dirigendo un quotidiano online con responsabilità civile e penale, sopravvivo ancora in parte del mio lavoro, affiancandolo per forza di cose ad un secondo e terzo lavoro.
Ora i giornalisti rinnovano il sindacato. Ce ne sono alcuni che stimo perché so che lottano in prima linea, come Daniela Stigliano o Luigi Abruzzo. Ecco, perché non ricordate a Di Maio, ministro della Repubblica, che in questo paese c’è un problema reale dei giornalisti rider, esattamente come lui riconosce quando afferma, circa i lavoratori in bicicletta, che “Li ho voluti incontrare perché iniziamo un percorso che passa attraverso un modello di lavoro meno precario, più dignitoso e che abbia salario orario minimo”?.
Diciamocelo fuori dai denti: il contratto di lavoro giornalistico è per una élite, ed è per un mondo che non esiste più. Dobbiamo intenderci se va bene così, se il sindacato serva solo per mandare a casa degli ex iscritti i Mav per sollecitare la tessera scaduta, senza interrogarsi sul perché uno non aderisca più. O se serva per interrogare chi nega salari minimi a coloro che, come dice il ministro del Lavoro, come i rider, “non chiedono la luna”.
Non ho scritto nulla di nuovo. Tanto sappiamo che il giornalismo è un mestiere che non esiste più. E il dramma di chi è nell’età di mezzo, lavorando senza contributi, senza contratto, è non finire neanche dentro la riforma della riforma della Fornero. Io a 70 anni non ci arriverò mai se non in povertà. E, tra questi poveri, le donne sono in testa. Dall’ultimo report Inpgi pubblicato su Primaonline si legge: “Considerando… la popolazione femminile nel suo complesso, quante sono le donne che hanno un posto di lavoro stabile? Le donne iscritte alla gestione principale Inpgi sono 14mila e di queste solo la metà (44%) ha un’occupazione”.
Se non è un’emergenza che cos’é? E allora, ministro Di Maio, e caro sindacato, tra il salario minimo, il carcere per gli evasori totali (anche di contributi previdenziali?) fateci uscire dal regno dei morti viventi.