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“Guardie e ladri” e… “Il vizio di non chiedere”, di Riccardo Pozzi

Il vizio di non chiedere - copertina

Propononiamo due brevi racconti facenti parte di una piccola raccolta dal titolo “Il vizio  di non chiedere”, che la tipografia del parlamento stampò nel 2011 a cura dell’on. Gianni Fava, a quel tempo parlamentare LN.

Un piccolo libretto, quasi un promemoria per l’indipendentista smemorato, che GILBERTO ONETO commentò così  proprio sulle pagine de “L’Indipendenza”che ancora oggi dovrebbe essere nel vs archivio, (Molti lettori chiesero che fossero pubblicati tutti i racconti, Facco lo promise ma non lo fece…):

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“…Eppure tanta gente di buone letture e di capacità è anche riuscita a sopravvivere fra le pieghe del corpaccione leghista, in ombra, al di fuori di ogni canale di comunicazione ufficiale. Fra i militanti si trovano ancora tanti esempi di buon senso e anche qualche vera e propria perla. Settimane fa  mi è stato fortunosamente recapitato un fascicolo di racconti di Riccardo Pozzi,  che – lo devo confessare – stavo per gettare in un angolo dopo avere visto che è stato presentato da un ras leghista, con tanto di “On.” davanti al nome. Per fortuna mi hanno colpito la copertina   e, soprattutto, il titolo, Il vizio di non chiedere, straordinaria e concisa divisa della nostra gente. L’ho letto e ho fatto bene: ho trovato otto brevi racconti bellissimi, entusiasmanti e a tratti commoventi.  Vi si trovano dentro i sapori di Guareschi e la freschezza di Brera. Pozzi non è un letterato, nella vita si occupa di saldature, ma è un uomo colto e sensibile: non farà mai carriera  in questa Lega  ma è una preziosa pedina del grande gioco della nostra libertà e della nostra identità. …”

Gilberto Oneto   12 Febbraio 2012

 

 

 Tratto da “Il vizio di non chiedere”

 

 “ Guardie e ladri”

 

“Ricordati bene, meglio un meridionale che ha voglia di lavorare di un padano fannullone!”

Mi sorprende il monito di Giovanni, imprenditore brianzolo dall’accento così marcato da farmi sospettare che mi stia prendendo in giro. Sull’argine del Po durante una festa della Lega, si guarda intorno e come dovesse rivelarmi chissà quale segreto  mi sussurra furtivamente: “Parliamoci chiaro, gli italiani del sud hanno avuto successo in tutto il mondo, tranne in un posto: l’Italia del sud. E’ chiaro che lì c’è qualcosa che non va. Non è logico innaffiare di denaro pubblico per 50 anni alcune regioni e poi lamentarsi perché non cresce la cultura del fare…. Se facessimo la stessa cosa in Lombardia, in tre generazioni avremmo stroncato ogni aspirazione al miglioramento e qualunque voglia di intraprendere….”.  Ha l’aria di avermi detto qualcosa di poco leghista ma di profondo, mentre agita le mani molto vicino al mio naso, mi fa riflettere il suo pragmatico disincanto,  in mezzo a tanto tifo che sbandiera il sole delle alpi.

“E questo vale anche per gli immigrati: meglio mille volte un extracomunitario volonteroso di un italiano che trascina le braghe. Il guaio e che nel sud le trascinano in troppi. Guarda che i meridionali sanno essere i migliori lavoratori del mondo, cosa credi… la colpa è anche nostra, si di noialtri polentoni che per decenni abbiamo pagato una specie di pizzo allo Stato perché desse da mangiare al problema sud  e oggi il sud non riesce a mangiare da solo”.

Mai avrei pensato di scoprire una simile capacità di analisi e sintesi insieme, in un contesto del genere. Ma lui insiste: “La causa del nostro male in fondo è nostra. Cosa abbiamo fatto per le persone oneste del sud? Abbiamo premiato i falsi invalidi, abbiamo finanziato a pioggia la pratica del voto di scambio, abbiamo chiuso gli occhi e pagato per generazioni, sperando che ci lasciassero stare, ci lasciassero produrre in pace, registrando questo abominio politico come un costo sociale.

Le forze migliori umiliate, fannulloni e delinquenti premiati, perché mai il sud avrebbe dovuto svilupparsi? Perché dovrebbe avere il culto del lavoro e non quello della furbizia?”

Putnam, Banfield e tutta la più alta sociologia moderna sconquassata da tre o quattro considerazioni che attingono al grezzo libro del vivere, al buonsenso del lavorare con intelligenza, quello che una volta a Milano  scorreva a fiumi e ne faceva la locomotiva d’Europa.

 

In un grosso centro della provincia di Treviso abita Mauro. E’ piuttosto conosciuto in paese perché è un attivista della Lega, lo salutano per strada apostrofandolo “teron” per prenderlo in giro circa il suo aspetto poco nordico che, sapendo le sue inclinazioni politiche, suona come uno scherzo. Mauro rappresenta la parte più insofferente e intollerante del movimento. Grande lavoratore, verniciatura industriale in proprio, eloquio nervoso e asciutto:

“Torno a casa dopo dieci ore di lavoro e sento il telegiornale che parla del clan di quelli e della cosca di quegli altri, poi ci fanno sorbire le solite squadre, marescialli, distretti di polizia, carabinieri, dove meridionali (lui usa un’altra espressione) buoni danno la caccia a meridionali cattivi e, prima del tg della notte, li arrestano e tutto finisce bene. E io mi addormento, cotto da una giornata di lavoro, per metà  derubata dallo Stato  e dovrei credere a quella roba lì… La sensazione di essere preso in giro è forte (lui usa ancora un’altra espressione), io non mi sento cittadino di quell’Italia finta.”

Quando chiedo a Mauro se non pensa che esistano molti lavoratori al sud  che soffrono della stessa estraneità a quella realtà criminale, mi ribatte: “I veneti però non occupano la loro terra con le divise delle forze dell’ordine. Che si ribellino loro alla loro criminalità, noi ne paghiamo già i costi.”

Mauro vorrebbe prendere una scorciatoia per descrivere una realtà molto complessa e articolata ma ogni mio tentativo di instillargli  il tarlo del dubbio che la sua visione della questione meridionale sia eccessivamente semplicistica, viene accompagnato da sbotti di insofferenza, quella di chi ha sentito  lo stesso disco troppe volte, fino a che, quasi infastidito sentenzia: ”Guardie e ladri che parlano la stessa lingua . E io mi addormento come un cretino per aver troppo lavorato. Questo è lo stato italiano.”

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